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January 19 2016
Diciamoci la verità: Beppe Sala, l'ex supercommissario di Expo 2015, potrebbe anche rinunciare a fare la campagna elettorale per le primarie del 7 febbraio.
Il suo biglietto da visita, il grande successo dell'Esposizione universale, è sufficiente per sbaragliare qualsiasi rivale del centrosinistra milanese. Né Francesca Balzani, il vicesindaco di Milano che ha ricevuto l'endorsement di Giuliano Pisapia, né Piefrancesco Majorino hanno serie possibilità di vittoria contro l'uomo sul quale ha puntato le sue carte Renzi dopo la rinuncia del sindaco a candidarsi per un secondo mandato.
Come dicono in Francia, le jeux sont fait. Beppe Sala, la cui unica preoccupazione è oggi quella di far dimenticare agli elettori di sinistra di essere stato per pochi mesi l'ex city manager di Letizia Moratti, ha un vantaggio così amplio su tutti e tre i candidati delle primarie milanesi che, per vincere, gli basta stare zitto (per non commettere gaffe) e sventolare con garbo il suo biglietto da visita.
Non c'è insomma partita. Tanto più se - come è accaduto a Milano - gli eredi della galassia arancione che avevano messo le ali a Giuliano Pisapia nel 2011, anziché fare squadra, scelgono di presentare due candidati seguendo lo storico copione suicida della sinistra-sinistra: dividersi, per perdere.
Beppe Sala ha anche un altro vantaggio sui suoi rivali: il sostegno di quella borghesia della zona 1 che aveva scelto Pisapia nel 2011, dopo essere stata per circa venti anni il cemento del consenso al berlusconismo nel capoluogo lombardo
Beppe Sala ha anche un altro vantaggio sui suoi rivali: il sostegno di quella borghesia della zona 1 che aveva scelto Pisapia nel 2011, dopo essere stata per circa venti anni il cemento del consenso al berlusconismo nel capoluogo lombardo. Un vantaggio che peserà, parecchio, anche il giorno delle elezioni, quando l'ex supercommissario di Expo dovrà sfidare - con voti reali (leggi il sondaggio Ipsos, ndr) - il candidato del centrodestra e l'improbabile candidata del M5S, quella Patrizia Bedori che persino l'ex Premio Nobel Dario Fo giudica inadeguata per governare una città complessa come Milano.
Insomma: Sala, a sostegno del quale si sta muovendo la Milano che conta, ha davanti a sé un'autostrada a quattro corsie che porta dritti dritti a Palazzo Marino. Gli basterà, alle primarie come alle elezioni, non commettere autogoal. Vantando il suo passato di supermanager prestato alla politica e al contempo ricostruendosi una verginità politica di sinistra, per non scorpirsi troppo sul fianco dolente.
Le sue dichiarazioni di queste ultime settimane (Sono sempre stato di sinistra, Ho sempre votato il Pci e il Pds) vanno proprio in questa direzione: far digerire al popolo della sinistra - dove è più scoperto - il suo peccato originale di supermanager del sindaco Moratti. A tutto il resto penseranno i grandi elettori del centro di Milano, quelli che - mai affascinati dal populismo leghista - avevano scelto il sindaco avvocato nel 2011 e oggi hanno già scelto da che parte stare. Da sempre, del resto, sotto la Madonnina, vince chi conquista il cuore (laico e pragmatico) della borghesia meneghina. Da Mussolini a Craxi, da Berlusconi a Pisapia, le periferie milanesi, di cui tutti parlano sotto elezioni per carpirne i voti, sono sempre andate al traino. Sarà così, salvo cataclismi, anche questa volta.
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