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January 25 2018
In principio fu la pecora Dolly, creata grazie alla clonazione nel 1996 a Edimburgo, in Scozia. Dopo di lei sono stati molti altri gli animali clonati, dal maiale al vitello, dal topo al muflone, dal cane al gatto, dal cervo al coniglio. La novità di ciò che è avvenuto in Cina, con la clonazione di due macachi chiamati Zhong Zhong e Hua Hua, eseguita presso l'Istituto di Neuroscienze dell'Accademia cinese delle Scienze a Shanghai, è che è stata utilizzata per crearle la stessa tecnica usate per Dolly, chiamata "somatic cell nuclear transfer", per la prima volta riuscita in un primate.
In pratica si prende la cellula somatica di un individuo e la si inserisce in un ovulo non fecondato, precedentemente privato del suo nucleo. In passato altre scimmie erano state clonate (risale al 1999 la clonazione del macaco Tetra), ma con la tecnica relativamente più semplice detta "embyo splitting" o scissione dell'embrione, che è poi una modalità simile a quella con cui si formano i gemelli. La clonazione col metodo usato per Dolly nel 1996 era precedentemente fallita nei primati perché nei nuclei delle loro cellule differenziate si trovano geni "spenti" che ostacolano lo sviluppo dell'embrione. Il successo degli scienziati cinesi dipende dal fatto che sono riusciti a riattivare questi geni creando degli interruttori molecolari ad hoc che sono stati aggiunti alla cellula uovo dopo il trasferimento del nucleo.
"Con questo lavoro si è superata una barriera", ha dichiarato all'agenzia Afp Muming Poo, uno degli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Cell, direttore dell'Istituto nel quale è avvenuta la clonazione. Va però ricordato che per creare i due graziosi macachi ripresi a giocare con i loro peluche colorati nell'incubatrice sono stati necessari tre anni di lavoro e molti tentativi falliti.
Le reazioni all'annuncio degli scienziati cinesi non si sono fatte attendere e in molti casi sono state di viva preoccupazione per gli scenari che potenzialmente si aprono. "È chiaro che tutto questo riaccende drammaticamente il problema del dibattito etico, perché siamo alla vigilia di una possibilità teorica di clonare anche l'uomo, con tutte le ricadute che ne derivano", ha dichiarato Bruno Dallapiccola, genetista e direttore scientifico dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. "La vita umana non è stata programmata per essere attivata con sistemi di tipo artificiale ma dall'incontro di due gameti, uno dell'uomo e l'altro della donna". " È difficile", conclude Dallapiccola, "capire fino a che punto il ricercatore è capace di mettere un limite alla propria ricerca".
Gli fa eco Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita che parla di "una minaccia per il futuro dell'uomo". "Sulla clonazione animale ad oggi il Vaticano non si è pronunciato con una condanna esplicita", spiega Sgreccia, "c'è da sperare che entri in gioco la responsabilità degli scienziati". Tuttavia "c'è il fortissimo rischio che la clonazione della scimmia possa essere considerato come il penultimo passo, prima di arrivare alla clonazione dell'uomo, evento che la Chiesa non potrà mai approvare".
Shoukhrat Mitalipov, dell'Oregon Health and Science University, che nel 2013 annunciò la creazione di cellule staminali embrionali umane per clonazione a scopo terapeutico, dichiara oggi "improbabile" che il metodo impiegato sui macachi cinesi possa essere applicato all'uomo, anche se ciò fosse eticamente ammissibile.
Tra l'altro i tentativi di clonazione dei macachi a partire da cellule di esemplari adulti erano tutti falliti e si è dovuto attingere a cellule fetali per condurre in porto l'esperimento. Sono stati creati 149 embrioni, di cui solo 79 sono sopravvissuti in laboratorio e di questi solo sue macachi sono poi nati. Secondo l'embriologo britannico Robin Lovell-Badge, del Francis Crick Institute, non coinvolto nello studio, la procedura utilizzata dai colleghi cinesi rimane "molto inefficiente e pericolosa" e non avvicina la scienza alla clonazione umana: "Questa rimane chiaramente una cosa molto stupida da tentare e anche inutile".
"Io credo che vada fatta una distinzione", dichiara a Panorama.it Lorenzo D'Avack, professore emerito di Filorofia del Diritto all'Università di Roma 3 ed ex presidente vicario del Comitato Nazionale di Bioetica, che è in attesa di essere rinnovato dallo scorso settembre. "Se la sperimentazione è finalizzata a ragioni di ricerca medica, che potrebbe quindi avere ricadute positive per quello che riguarda la cura di malattie nell'uomo, non vedo nessun problema. Noi abbiamo una legge che regola la sperimentazione su animali, basta attenersi a quella. Se lo scopo è arrivare alla clonazione umana, allora questo è eticamente inaccettabile. Mi sembra però che questo sia ancora tecnicamente pressoché irrealizzabile allo stato attuale delle cose".
Intanto un'indagine Coldiretti/Ixè presentata in occasione dell'annuncio della ricerca cinese rivela che 9 italiani su 10 sono contrari alla clonazione utilizzata a fini alimentari. Solo il 12% degli intervistati accetterebbe di consumare latte, formaggi e carne proveniente da animali clonati. Negli ultimi anni "si è intensificato", denuncia Coldiretti, "lo sfruttamento commerciale di tale tecnica in molti Paesi ed oggi è possibile clonare un animale con una spesa di qualche migliaia di euro e la tecnica riguarda già molti animali da allevamento, dalle pecore ai maiali, dai tori ai cavalli. Una situazione sulla quale si pone l'esigenza di vigilare, alla luce soprattutto dei recenti accordi di libero scambio che stanno impegnando l'Unione Europea, dal Canada ai Paesi del Sud America che aderiscono al Mercosur", il mercato comune dell'America meridionale.
Del resto le preoccupazioni in merito alla salute degli esemplari clonati emersero già alla morte della pecora Dolly, avvenuta nel 2003 all'età di 7 anni a causa di una malattia ai polmoni. La pecora presentava anche segni di artrite al ginocchio. Fu allora fatta l'ipotesi che l'animale clonato andasse soggetto a un invecchiamento precoce, poi smentita da studi successivi. Tant'è la diffidenza rimane.
Il motivo per cui la scienza insiste nel tentare la clonazione di animali, e in particolare saluta come un grande progresso il successo nella clonazione delle scimmie, è che questa aiuta la ricerca. La possibilità di creare popolazioni di scimmie dal profilo genetico identico consentirebbe di ridurre molto il numero di scimmie usate per la sperimentazione di nuovi farmaci.
"Questa tecnica consente per la prima volta di ottenere numerosi esemplari di primati geneticamente omogenei", spiega Giuliano Grignaschi, segretario generale di Research4life e responsabile del benessere animale presso l'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. "Ciò permetterà di ottenere risultati sperimentali più affidabili e facilmente riproducibili: riducendo la variabilità e l'errore statistico, si ridurrà anche il numero di campioni impiegati per fare le misure e, di conseguenza, il numero di animali sacrificati per ogni singolo esperimento".
Le scimmie in particolare vengono usate per la ricerca su malattie che colpiscono il cervello, come il Parkinson, e poi per studiare il cancro, i disturbi del metabolismo e del sistema immunitario. "Nei soli Stati Uniti", spiega Poo, tra gli autori dello studio cinese, "le compagnie farmaceutiche importano fra 30mila e 40mila scimmie all'anno. I loro background genetici sono tutti variabili, non sono identici, quindi c'è bisogno di un numero alto di scimmie. Per ragioni etiche penso che avere clonato delle scimmie ridurrà in modo considerevole il numero di scimmie usate per fini farmaceutici".