Politica
February 15 2023
Ci sono piccole, grandi, storie di giustizia che ci raccontano come uno dei tre poteri dello Stato stia vivendo un periodo pieno di difficoltà con problemi ormai cronici e forse irrisolvibili. E non stiamo parlando del caso Cospito e della sua lotta (assieme ai boss della mafia e ad una piccola fetta dell’opinione pubblico-politica) di abolizione del 41 bis, il carcere duro. Stiamo parlando di storie che vanno nell’opposta direzione che di fatto è quella che va per la maggiore: altro che carcere duro. In Italia forse esiste il carcere morbido, anche per pericolosissimi condannati all’ergastolo.
Come Salvatore La Motta, condannato al carcere a vita che già godeva della semilibertà e che ha anche ottenuto un permesso premio. Al termine del quale però, dopo aver recuperato un’arma, ha ucciso in due momenti ed un due luoghi diversi, due donne: Carmelina Marino e Santa Castorina prima di togliersi la vita davanti ai Carabinieri.
E purtroppo non si è trattato di un caso isolato:
Analoga situazione era avvenuta pochi giorni prima in un’altra parte del paese. Massimiliano Sestito, killer della mafia, responsabile dell’assassinio di una carabiniere, Renato Lio, ad un posto di blocco che in attesa dell’ennesima sentenza della Cassazione era fuggito dai domiciliari che aveva ottenuto, staccandosi il braccialetto elettronico, e sparendo nel nulla per giorni. Da notare che Sestito aveva ottenuto i domiciliari malgrado fosse già evaso una volta dal carcere. Non vi basta?
Ieri, l’udienza del processo di secondo grado contro i due presunti responsabili dell’omicidio di Luca Sacchi è stata rinviata. Il motivo? I due imputati hanno rifiutato di salire sulla camionetta della Polizia Penitenziaria che dal carcere doveva portarli in Tribunale perché, tenetevi forte, «soffriamo di claustrofobia». La cosa triste è che questa spiegazione è stata ritenuta valida oltre che credibile. La cosa vergognosa è che i due quando andarono ad uccidere il giovane con un colpo alla testa lo fecero a bordo di una Smart. A quanto pare la sofferenza dei piccoli spazi è arrivata dopo.
Altro tema. Ricordate due settimane fa le polemiche per le frasi «tifo Napoli ed odio la Juventus» pronunciate dal Pm Ciro Santoriello? Ecco, tutti a gridare alla giustizia di parte, alla giustizia che fa il tifo e decide di conseguenza. Ecco. La stessa cosa è successa, sotto silenzio, a Catania.
Marisa Acagnino, giudice del Tribunale civile di Catania, ha stabilito che il decreto del Viminale sui cosiddetti «sbarchi selettivi» è illegittimo. Parere plausibile, condiviso da diversi magistrati. Ma qui il punto è un altro. È che il giudice 6 anni fa aveva accettato la richiesta dell’allora Presidente della regione Sicilia, Crocetta, del Pd, di candidarsi come sindaco della città ai piedi dell’Etna. La corsa alla poltrona di primo cittadino della Acagnino durò poco ma la sua collocazione pubblica come dire è chiara ed evidente. Viene quindi da chiedersi quanto sia politica e non legale la sua decisione. E viene da chiedersi come sia possibile che un magistrato possa continuare a lavorare nella città dove ha fatto, anche se per poco tempo, politica.
Piccole, grandi storie che raccontano mali profondi della Giustizia, uno dei pilastri del nostro ordinamento costituzionale, che traballa, oggi come non mai.