I problemi del Pd di Elly Schlein con il «fantasma» di Gentiloni sullo sfondo

Dalla festa dell’Unità di Ravenna si intuisce chiaramente come Elly Schlein si giochi davvero tutto alle prossime europee. In primis, la poltrona. La diaspora dei 31 amministratori del Pd che hanno abbandonato il partito per cadere tra le braccia di Carlo Calenda, è effettivamente un segnale mai visto. La risposta della segretaria è stata sostanzialmente un’alzata di spalle: “Se non si sentivano a casa loro, vuol dire che avevano sbagliato indirizzo sin dal principio”.

Il treno del Pd corre dunque a gran velocità verso i cinque stelle: ma la corsa è talmente veloce che i vagoni si stanno staccando. Soprattutto quelli dei riformisti, rimasti scioccati dalla conversione filo-5 stelle della segretaria. “Con questa non arriviamo al 17%”, si sarebbe fatto scappare Nicola Zingaretti, che pure del campo largo aveva fatto uno dei suoi punti d’orgoglio. Si può dire che con la tendenza armocromistica di Schlein il Pd sia tornato indietro nel tempo, abbandonando quella “vocazione maggioritaria” che pure è sempre stato uno dei miti fondativi. Abbandonandosi al salario minimo, criticando le spese per la difesa e financo la collocazione internazionale dell’Italia, sostenendo il referendum sindacale contro il jobs act (che pure era nato in seno al Pd), il partito si presenterà alle prossime europee sventolando una vocazione “ideologica” che potrebbe portarlo allo schianto. Lo slogan, riesumato dal passato, è “nessun nemico a sinistra”. Col rischio di restare schiacciati sotto il ciuffo ribelle di Giuseppe Conte.

Difficile che l’anima riformista del Pd resti a guardare per mesi lo spettacolo di un partito che torna ad essere il vecchio Pds, con l’aggiunta della sbornia arcobaleno-sessuale-ambientalista. Più facile semmai preparare il campo per il dopo-Schlein. Tanti sono convinti che l’uomo del futuro, per la poltrona di segretario, possa essere Paolo Gentiloni. Proprio lui, il commissario europeo finito nel mirino del governo Meloni, sospettato di remare contro la patria sui capitoli scottanti del Pnrr e del debito. La storia è piena di commissari europei che una volta giunti a Bruxelles hanno indossato casacche rappresentative di altri interessi. Da lui non ci si aspettavano favoritismi, ma nemmeno resistenze troppo vistose. Il tempo rivelerà se nei piani di Gentiloni, e dei suoi comportamenti, si celano mire Nazareniche. D’altronde, a rappresentare i moderati del Pd, serve un papa straniero. Chi meglio di lui, nato a Roma ma cresciuto a Bruxelles?

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