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January 16 2019
Le origini dei Proletari Armati per il Comunismo (PAC), dove militò per circa due anni il terrorista Cesare Battisti, rimandano ai gruppi degli autonomi legati alla rivista milanese "Il Rosso" edita nella prima metà degli anni '70: quelli della violenza, degli attentati e dei gravi scontri di piazza che segnarono indelebilmente l'Italia di 40 anni fa.
All'interno dei più importanti gruppi della sinistra extraparlamentare come Lotta Continua, Potere Operaio e Autonomia Operaia si generò la galassia della militanza clandestina, che fece della lotta armata e del terrorismo lo strumento finalizzato all'abbattimento della democrazia "borghese".
Così come dalle fila di Lotta Continua nacque l'organizzazione Prima Linea, per quanto riguarda i Proletari Armati per il Comunismo l'origine è da ricondursi alle organizzazioni dell'autonomia in Lombardia e Veneto. Fu un insegnante veronese, Arrigo Cavallina, a raccogliere attorno alla rivista "Senza Galere" il primo nucleo dei PAC. Nel primo periodo di attività il nucleo si concentrò in modo particolare alla lotta al sistema carcerario italiano (dove erano rinchiusi i "compagni" delle diverse organizzazioni clandestine) ponendosi inizialmente obiettivi simili a quelle delle prime Brigate Rosse. Dai contenuti pubblicati sulle pagine del periodico si sviluppa l'idea del radicamento locale dei cosiddetti "Comitati Territoriali di Controllo sul Carcere", organismi nati con la finalità di monitorare lo stato di detenzione dei detenuti politici delle formazioni extraparlamentari.
Tra i primi esponenti del gruppo di autonomi attivi nel quartiere popolare della Barona figurava Giuseppe Memeo, detto il "terùn" per le sue origini meridionali.Il 14 maggio 1977, con il volto coperto da un passamontagna era stato fotografato mentre scaricava - le ginocchia piegate per mirare ad altezza d'uomo - la sua Walther P38 contro la Polizia schierata in via De Amicis mentre cercava, assieme agli altri militanti, di raggiungere il vicino carcere di san Vittore. La foto del militante dei PAC diventerà una delle immagini più evocative degli anni di piombo.
La prima sede operativa nella zona sud-ovest era stata stabilita in via Palmieri allo Stadera, uno dei quartieri più difficili e violenti della città serbatoio di criminalità e droga. Fu tra gli abitanti delle case popolari fatiscenti costruite durante il fascismo e quelli dei casermoni anni '60 della Barona che i PAC decisero di sperimentare la loro idea di "rivoluzione armata dal basso" reclutando anche dalla delinquenza comune la manovalanza per le prime azioni criminali, in particolare rapine a scopo di autofinanziamento e azioni dimostrative contro i simboli dello "sfruttamento dei proletari" (incendio al magazzino della Face Standard) E ancora espropri e autoriduzioni della spesa alla Esselunga e alla Upim di Piazza Frattini. Poco più tardi, cominciano le rapine alle armerie (a Bergamo, dove recuperano un cospicuo bottino e a Crema dove recuperano oltre 5 milioni di lire per una partita di armi) spesso orchestrate assieme agli altri gruppi clandestini milanesi come Prima Linea e Collettivo Metropoli.
In una cella del carcere della città friulana è rinchiuso l'ideologo dei Pac Arrigo Cavallina. Durante la detenzione, l'intellettuale terrorista entra in contatto con un giovane arrestato per reati comuni: Cesare Battisti. Il futuro killer dei PAC era stato arrestato per avere picchiato selvaggiamente un sottufficiale durante il servizio militare, ultimo di una serie di violenze e reati compiuti dal ventitreenne nato a Cisterna di Latina. Nei pochi mesi alle sbarre si consumò la "mala educazione" politica di Battisti, che all'uscita dal carcere sarà introdotto nell'ambiente clandestino milanese attraverso i contatti di Cavallina: terroristi del calibro di Carlo Fioroni (che sarà il primo pentito delle BR) e Marco Bellavita. La prima sortita di Battisti con i nuovi compagni di lotta sarà una rapina ad un collezionista di armi di Galliate (Novara).
Gli insegnamenti di Cavallina e l'azione dei Comitati territoriali della Barona trovarono in Cesare Battisti e "compagni" il braccio operativo per passare all'azione. Sono i drammatici giorni conclusivi del sequestro di Aldo Moro. Il primo sangue scorre il 6 maggio 1978, quando i PAC gambizzano il medico del carcere di Novara Giorgio Rossanigo, fuggendo su una Simca "1000" rubata poche ore prima. Passano appena 48 ore e sotto i colpi dei terroristi quasi muore dissanguato un medico dell'INAM, Diego Fava, colpito perché incaricato dalle aziende di effettuare le visite fiscali. Entrambi gli attentati sono rivendicati dal gruppo con un volantino in cui compare lo slogan "Contro i medici sbirri di Stato. Liberiamoci dalle catene della galera e del lavoro".
Ad esattamente un mese dal ferimento di Rossanigo cade la prima vittima di Cesare Battisti e dei "compagni armati". Il teatro del delitto è nuovamente Udine, dove Cavallina e Battisti hanno un conto aperto con il capo delle Guardie carcerarie Antonio Santoro, che i due avevano conosciuto durante la detenzione. Battisti e la complice Enrica Migliorati attendono sotto casa la vittima che sta per recarsi al lavoro. Fingendosi fidanzati che si baciano, in un attimo scaricano le loro armi sul "torturatore di proletari" che si accascia a terra in un lago di sangue sotto gli occhi della moglie e dei due figli di 17 e 10 anni.
Il pensiero delirante per cui la "rivoluzione proletaria" avrebbe dovuto allargarsi partendo del "basso" attraverso l'azione a livello locale, fece nascere tra i terroristi dei PAC l'idea del secondo obiettivo: i commercianti,iconosciuti come il primo scalino del capitalismo oppressore, erano da colpire. Fino ad allora l'azione si era concretizzata con le numerose rapine e con gli espropri ai danni dei negozianti e delle grandi catene. Poi arrivò ancora una volta il sangue.
Il primo a cadere sotto i colpi dei Proletari Armati è un macellaio di Caltana di Santa Maria di Sala (Venezia), Lino Sabbadini. Il commerciante era entrato nel mirino di Battisti e compagni, oltre che per la militanza nel MSI, per avere ucciso il 16 dicembre 1977 Elio Grigoletto durante una colluttazione seguita al tentativo di rapina da parte di quest'ultimo. Dopo due mesi esatti di minacce anonime e attentati al tritolo, Battisti e il complice Diego Giacomin "regolano i conti" e freddano Sabbadin con 4 colpi calibro 6,35 tutti a segno. Era il 16 febbraio 1979.
Il secondo omicidio si consuma lo stesso giorno. Vittima è un altro commerciante, questa volta di Milano. In zona Bovisa, alla periferia Nordovest della città, i terroristi rossi fanno irruzione in una gioielleria. L'obiettivo è scelto con i medesimi criteri di Lino Sabbadin. Il gioielliere Pierluigi Torregiani, come il macellaio veneto, aveva reagito ad un tentativo di rapina al ristorante "Transatlantico" di Porta Venezia uccidendo il pregiudicato catanese Orazio Daidone. Era il 22 gennaio 1979. Dopo giorni di minacce anonime e il furto dell'auto, Torregiani è freddato nel negozio di via Mercantini dal commando dei PAC formato da Giuseppe Memeo (l'autonomo che sparò in via De Amicis) Gabriele Grimaldi e Sebastiano Masala. Nella sparatoria viene gravemente ferito il figlio di Torregiani, Alberto, che rimarrà paraplegico.
Dopo il delitto Torregiani, la Digos aveva stretto il cerchio attorno ai collettivi del quartiere popolare milanese. Pochi giorni dopo l'assassinio dell'orefice gli investigatori avevano fatto irruzione in una sede dell'autonomia, alla quale aveva preso parte in qualità di autista delle auto civetta l'agente venticinquenne Andrea Campagna, domiciliato proprio alla Barona. Le telecamere del telegiornale lo avevano mostrato durante l'azione, fatto che lo mise nel mirino dei PAC. Nel primo pomeriggio del 19 aprile 1979 il giovane agente prossimo al matrimonio viene crivellato di colpi di 357 magnum sotto casa del futuro suocero in via Modica. L'omicidio è rivendicato contemporaneamente da PAC e Prima Linea, che dichiarano di aver giustiziato il "torturatore di proletari" Andrea Campagna. I membri del commando Claudio Lavazza, Paola Filippi, Luigi Bergamin, Gabriele Grimaldi e Cesare Battisti.
Il 26 giugno 1979 la Digos fa irruzione in una palazzina di via Castelfidardo, 10 al Ticinese, dopo una serie di indagini incrociate con i Carabinieri del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Gli agenti, sulle tracce dei killer di Torregiani e Campagna, trovano l'arsenale dei PAC, tra cui la 357 magnum che aveva ucciso l'orefice milanese. L'arma risulterà bottino di una delle rapine meglio riuscite dei PAC, quella del gennaio 1979 all'armeria di via Sant'Orsola a Bergamo. Lo stesso Battisti è arrestato assieme all'affittuaria del covo Silvana Marelli (Potere Operaio), Marco Moretti, Diego Giacomini e Cipriano Falcone. Alle forze dell'ordine il futuro superlatitante esibisce una carta d'identità intestata a Giuseppe Ferrari. Le prime dichiarazioni degli inquirenti parlano di Battisti come di un "delinquente comune" poco ideologizzato, che avrebbe avuto l'appoggio del covo dei PAC soltanto per le sue azioni criminose finalizzate alla rapina. Il compagno di militanza Giuseppe Memeo sarà arrestato pochi giorni dopo nascosto con le armi in via Antonio Picozzi al Casoretto, in un appartamento a pochissima distanza dal covo delle Brigate Rosse di via Monte Nevoso.
Gli arresti della seconda metà del 1979 tagliarono la testa ai PAC, nati tra le case popolari della Barona. Contemporaneamente al blitz di Milano, in Veneto venivano arrestati i "compagni" dei milanesi tra cui Claudio Lavazza e Paolo Molina. Tre giorni dopo in via Negroli nei pressi dell'Ortica gli agenti della Digos irrompono nel covo dei complici di Prima Linea dove viene arrestato il terrorista Corrado Alunni. Proprio in quest'ultima formazione molti dei militanti dei PAC rimasti in libertà dopo le retate scelsero di confluire. Rinchiuso nel carcere di Frosinone il "compagno" Cesare Battisti avrebbe dovuto scontare l'ergastolo. Il 4 ottobre 1981 riesce ad evadere grazie all'aiuto di un commando del quale fece parte Claudio Lavazza anch'egli militante dei PAC (arrestato dopo la latitanza in Spagna nel 1996 e attualmente in carcere) .
Arrigo Cavallina ha scontato 12 anni di reclusione dei 22 inflitti inizialmente mentre Giuseppe Memeo, l'autonomo che ha rappresentato gli anni di piombo nella foto di via De Amicis e che sparò assieme a Grimaldi all'orefice Torregiani, ebbe una pena ridotta dopo la dissociazione. Uscito dal carcere, si dedica al volontariato a Milano.
Per Battisti cominciavano 37 lunghissimi anni di latitanza, terminata il 12 gennaio 2019 con l'estradizione e la detenzione nel carcere di Oristano.