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November 03 2016
"Il modo in cui si assume da anni una parte dei dirigenti pubblici rappresenta un tradimento della riforma della Pubblica amministrazione degli anni '90. Non ho mai capito perché la Corte dei Conti e il Consiglio di Stato lo abbiano consentito". Il tema è quello sollevato il mese scorso da Panorama.it con l'articolo sui dirigenti "per grazia ricevuta". La battuta è di Franco Bassanini, politico e giurista che di quel pacchetto di leggi è stato l’artefice principale e che oggi (mentre il governo Renzi cerca di rottamare, almeno in parte, la sua riforma con la legge Madia) accetta di farne un bilancio a quasi vent'anni di distanza. "Riformare la Pubblica amministrazione in Italia" prosegue "è un lavoro difficilissimo, soprattutto per le resistenze che suscita".
Non è normale che una riforma, specie se importante, fatichi a mettere tutti d’accordo?
Non mi riferisco alle resistenze politiche. In Parlamento avemmo all’epoca un consenso trasversale. Tre delle quattro leggi che compongono la cosiddetta “riforma Bassanini”, tutte tranne la prima, furono votate anche da Forza Italia. Ad esprimersi contro furono solo i parlamentari di Rifondazione comunista, che pure erano nella maggioranza di governo.
Allora di quali resistenze si parla?
Di quelle nate dal rapporto quotidiano fra politica e burocrazia. È un po’ come cercare di disboscare la foresta amazzonica: ricresce subito a tutta velocità. Quando stabilimmo che la percentuale di incarichi esterni da assegnare senza concorso non poteva superare il 5 per cento Piero Fassino fece una scenata, perché al ministero del Commercio con l'estero aveva un numero di direttori troppo basso e non poteva sceglierne neppure uno. Ma il problema più serio fu con il ministero delle Finanze, retto allora dal mio amico Vincenzo Visco.
Che cosa accadde?
Quando si stabilì che i concorsi si sarebbero fatti in modo unificato e non più per singole amministrazioni dovemmo prevedere un’eccezione per quelli già banditi. Allora alle Finanze riesumarono un concorso vecchio di anni, per ben 999 dirigenti, naturalmente da effettuare solo all’interno, dove i candidabili mi pare fossero in tutto 1.500. Ma la cosa peggiore fu a che a concorso fatto venne fuori che la gran parte dei vincitori avrebbe dovuto essere collocata nel ruolo unico della Pubblica amministrazione. Lì da loro non c’era mica bisogno di tutti quei dirigenti!
Proprio su questo la sua riforma si è fatta una brutta fama, per via dell’ormai famoso articolo 19 comma 6 della legge 165, che consente di assumere dirigenti dall’esterno. Negli anni ne hanno beneficiato decine di dirigenti che, secondo le critiche diffuse nella Pubblica amministrazione, hanno scavalcato colleghi con più titoli e forse anche più capacità. Riscriverebbe quell’articolo tale e quale?
Certi risultati non dipendono dal testo originario, ma dalle modifiche e dalle prassi successive. L'obiettivo dell'articolo, che considero ancora valido, era permettere alla Pubblica amministrazione di acquisire all’esterno le competenze che mancano all’interno. Se invece viene usato per affrancare i più fedeli o i raccomandati dalla necessità di vincere un concorso prima di diventare dirigenti è chiaro che c’è un tradimento della norma, almeno nel suo spirito originario. Mi sono sempre chiesto come mai la Corte dei Conti e il Consiglio di Stato lo abbiano consentito.
A quasi vent’anni di distanza che cosa pensa degli effetti della sua riforma?
Il giudizio complessivo è positivo. Poi, certo, alcune cose hanno funzionato bene e altre meno. Fra le prime metto soprattutto gli interventi per la semplificazione: se oggi si possono iscrivere i figli a scuola senza dover riprodurre ogni anno il loro certificato di nascita è grazie alla norma sull’autocertificazione. Fra le seconde, senza dubbio sono da annoverare le modalità di assunzione dei dirigenti pubblici. Ma qui torniamo a quell’effetto “foresta amazzonica” di cui si diceva all’inizio.