Calcio
August 05 2022
C'è chi, se potesse, si spingerebbe fino ad indicare la Salernitana che non si sa mai, considerato il girone di ritorno da miracolo che ha portato alla salvezza. Oppure la Cremonese, perché no, visto che ogni tanto la Serie A regala sorprese e questa sarà una stagione folle e mai vista, con in mezzo un Mondiale e una sosta lunga due mesi. Tutto pur di spostare il peso del pronostico sulle spalle di qualcun altro in nome del più grande mind game dell'estate del calcio. Chi è favorito per lo scudetto? Chiunque ma non io. Anche l'acerrimo nemico, se serve a scaricare un po' di pressione dalle proprie spalle per indirizzarla su quella di quell'altro.
L'ultimo in ordine di tempo è stato John Elkann, proprietario della Juventus: con a fianco il cugino Andrea Agnelli non si è fatto grossi problemi a indicare l'odiata (sportivamente) Inter come squadra di riferimento del prossimo campionato. All'Inter, ovviamente, la pensano in tutt'altro modo e si sono ricordati di quando un anno fa tutti, ma proprio tutti, spiegavano che "chi vince lo scudetto e si presenta con il tricolore sul petto è per definizione il favorito". Dunque, ad Appiano Gentile dicono Milan e a Milanello si grattano - sempre sportivamente parlando - perché nelle ultime due stagioni ha portato benissimo partire a fari spenti e aggirarsi per l'alta classifica quasi come abusivi fino a quando Pioli non ha piazzato la zampata definitiva a maggio.
Quindi al Milan non sognano altro che essere indicati come outsider, regalo che nessuno è più disposto a concedergli. E il Napoli? Ad oggi non lo indica nessuno e quindi Spalletti non ci pensa nemmeno. Magari sarà più coraggioso Mourinho con la Roma che i Friedkin stanno costruendo con l'obiettivo di essere veramente competitivi. Pronostico? Non lo farà nemmeno lui, che ha già precisato in tempi non sospetti di non "essere un pirla" ed è consapevole che andare davanti alle telecamere a dire "lo scudetto lo vinciamo noi" equivarrebbe a caricare una bomba ad orologeria in zona Capitale.
Le disavventure dell'anno scorso hanno tolto il problema a Gasperini e all'Atalanta e i più attenti ricorderanno il livello di arrabbiatura del tecnico dai capelli bianchi quando la Dea veniva accostata, anche solo potenzialmente, al tricolore. Qui ci fermiamo, per scherzo ma nemmeno tanto perché il giochino si moltiplica nelle varianti "chi andrà in Champions League?" e "chi si salverà o retrocederà?".
E' un classico dell'estate, aggravato dal peso della responsabilità degli allenatori delle tre big del calcio italiano che, a differenza di dodici mesi fa, questa volta qualche obbligo in più ce l'hanno davvero. Pioli perché ha vinto ed è conscio che anche un secondo posto gli sarà rinfacciato come mezzo fallimento, Inzaghi perché non può più presentare come alibi il fatto di essere salito al volo su una barca che perdeva acqua e giocatori (e poi gli hanno preso Lukaku), Allegri che è il più in difficoltà di tutti considerato che alla Juventus un terzo anno a guardare gli altri lottare non sarebbe tollerato.
Fa niente che Pioli, Inzaghi e Allegri - e tutti gli altri nell'ordine che preferite - abbiano da argomentare sui limiti delle rispettive squadre e che nessuno, ma veramente nessuno, sa cosa accadrà da gennaio in poi quando gli eroi del Mondiale torneranno a casa. Non importa. Hanno l'obbligo di vincere e anche quello di tenersi sulle spalle il peso del pronostico. E così giocano