Pronti alla guerra globale

Nel 2023 LA spesa militare globale ha toccato i 2.443 miliardi di dollari. E Ad armarsi non sono solo le superpotenze: tutti i paesi investono enormi risorse per forniture belliche sempre più sofisticate richieste dall’attuale «ordine mondiale». dove, dopo ucraina e medio oriente, i conflitti sono diventati un’opzione politica.

Il video delle forze aeree israeliane, pubblicato su X, riprende i cacciabombardieri che il 27 settembre hanno sepolto per sempre il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nel quartier generale a Beirut. Otto F-15, che sono decollati con almeno 16 bombe da mille chili. Sotto la pancia del velivolo si notano anche le Blu-109 americane, ordigno teleguidato anti bunker che penetra nei rifugi in cemento armato prima di esplodere con tremende conseguenze. In maggio la Casa Bianca ne aveva bloccato l’invio a Israele, ma evidentemente restava ancora qualcosa negli arsenali delle precedenti forniture Usa. Solo un tassello del mosaico, che dimostra il vorticoso giro di armi per la guerra in Medio Oriente. La corsa agli armamenti provocata dai conflitti che ci circondano, da Israele all’Ucraina e quello che potrebbe scoppiare in Estremo Oriente, ha subito un’accelerazione senza precedenti. Nel 2023 la spesa militare globale ha raggiunto la vetta di 2.433 miliardi di dollari, secondo i dati dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri). Il più forte aumento negli ultimi 14 anni, che per la prima volta dal 2009, registra un’impennata in tutte e cinque la macro-regioni del globo dall’Africa all’Asia. Un «si armi chi può» mondiale radiografato da Panorama. «Tutti si armano non per fare, ma evitare la Terza guerra mondiale» osserva Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi difesa. «Il problema è che l’aumento della produzione bellica richiede investimenti elevati e personale specializzato. E c’è bisogno di una pianificazione pluriennale. Siamo certi che si potranno trovare le risorse?».

La parte del leone spetta sempre agli Stati Uniti, con una spesa di 916 miliardi di dollari seguiti da Cina e Russia. L’Europa, allarmata dal conflitto ucraino, ha registrato un’impennata del 16 per cento e anche l’Italia, dopo anni di stretta, aumenta gli investimenti militari. «Numeri importanti, per un totale di 9,3 miliardi di euro» afferma Giovanni Martinelli, che ogni anno passa ai raggi X il bilancio della Difesa. «La tendenza è rafforzare l’esercito che ha subito tagli negli ultimi anni e stanno partendo programmi innovativi su droni e munizioni circuitanti» ovvero velivoli kamikaze senza pilota. Il nostro Paese si doterà di 132 carri armati sviluppando il Panther assieme alla tedesca Rheinmetall. Per la fanteria la Difesa vuole acquistare 570 nuovi mezzi di combattimento. Nel complesso i due programmi hanno un valore, spalmato negli anni, di 23 miliardi di euro. Acquisteremo anche 21 Himars, i missili a lungo raggio americani diventati famosi in Ucraina, per 960 milioni. «La questione più spinosa riguarda i tempi» osserva ancora Gaiani. «Se oggi si ordinano carri armati si avranno fra dieci anni. Ci sarà ancora l’esigenza di combattere i russi?». Il muro del Donbass rischia di essere più alto di quello di Berlino, ma un altro fattore è la «fretta da riarmo». «Va a vantaggio dell’industria americana, che ha la capacità di produrre qualsiasi cosa e velocemente per poi vendere la armi all’Europa. Se il Vecchio continente fa incetta di F-35 ed F-16, caccia a stelle e strisce, dov’è la difesa Ue?».

Il «Documento programmatico pluriennale 2024-2026» prevede cinque F-35 per la Marina militare, che si aggiungono ai 19 già in acquisizione. All’Aeronautica arriveranno 24 velivoli da combattimento Eurofighter Typhoon (7,4 miliardi di euro) a partire da quest’anno. La scommessa da vincere, però, è il programma per il caccia di sesta generazione (Global Combat Air Programme), già Tempest. Per la ricerca e sviluppo saranno spesi 7,7 miliardi. Alla Marina arriveranno le due Fremm Evo, unità da guerra avveniristiche (1,5 miliardi) e nave Olterra per operazioni subacquee speciali. Nonostante gli sforzi, siamo ancora indietro rispetto all’obiettivo del 2 per cento del Prodotto interno lordo per la Difesa, strappato nel 2014 dagli americani, a differenza dei 23 Paesi alleati che quest’anno dovrebbero rispettare l’impegno. «Se in ambito Nato devi raggiungere il 2 per cento del Pil e per l’Unione europea non puoi superare un deficit del 3 per cento è ovvio che i due criteri contrastano» osserva Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo. «Parte della soluzione è defalcare le spese della Difesa dalla soglia Ue. E finanziare almeno gli investimenti per la ricerca in questo campo con gli Eurobond». La Polonia, che nel 2025 spenderà per la Difesa 43 miliardi di euro arrivando al 4,7 per cento del Pil, sta diventando la Prussia d’Europa. Non solo: il presidente, Andrzej Duda, ha rivelato che sono in corso trattative con Washington per installare armi nucleari americane in territorio polacco. Il 12 agosto scorso è stato firmato il contratto per produrre nello stabilimento Stalowa Wola 48 batterie per i missili Patriot. Non è un caso che l’ambasciatore Usa a Varsavia sia Mark Brzezinski, figlio di Zbignew, consigliere per la sicurezza nazionale di origini polacche, con il presidente Jimmy Carter, fu uno degli artefici del collasso dell’Urss. «Fatevi un giro per la Polonia. Si sentono già in prima linea contro i russi» spiega chi è coinvolto nel riarmo in Italia. Il 13 agosto è stato annunciato l’acquisto di 96 elicotteri d’attacco Apache per 10 miliardi di dollari. La Polonia ha ordinato dalla Corea del Sud 48 caccia leggeri, 280 lanciarazzi campali K239 Chunmoo, 600 obici semoventi da 155 mm K9 Thunder e mille carri armati K2.

In Germania è aspro il dibattito sul dispiegamento dal 2026 di nuovi missili americani Tomahawk. Il cancellerie tedesco, Olaf Scholz, lo aveva discretamente concordato con il presidente Joe Biden in luglio, ma l’opposizione di estrema destra (AfD) e sinistra (Bsw), che sta crescendo, è fortemente contraria. Tim Thies dell’Istituto per la ricerca sulla pace e la politica di sicurezza di Amburgo non ha dubbi: «Stiamo andando verso una nuova e pesante corsa agli armamenti». La Germania è già fra i primi cinque esportatori al mondo nel campo della Difesa dietro a Stati Uniti, Francia, Russia e Cina. La guerra in Europa ha inevitabilmente alimentato il riarmo: la spesa militare nel 2023 è aumentata in 39 dei 43 Stati del continente. Il picco è stato raggiunto dall’Ucraina, in gran parte con soldi occidentali (+51 per cento) e dalla Russia (+24). Il 27 settembre scorso il governo di Kiev ha presentato un disegno di legge per destinare il 60 per cento del bilancio 2025 ai settori difesa e sicurezza (48,3 miliardi di euro, ma saranno 12 al netto degli aiuti alleati). La Russia vuole investire il 30 per cento in più nella Difesa (130 miliardi di euro) e ha appena richiamato alla leva autunnale 133 mila uomini. Vladimir Putin ha annunciato il 27 settembre la nuova dottrina nucleare: «L’aggressione contro la Russia da parte di qualsiasi Stato non nucleare, ma con partecipazione o sostegno di uno Stato nucleare, si considererà un attacco congiunto (…), che stabilirebbe chiaramente le condizioni affinché la Russia possa passare all’uso delle armi nucleari». Il riferimento è alle pressanti richieste ucraine di utilizzare i missili occidentali per colpire in profondità il territorio nemico. Nonostante le sanzioni la Russia è favorita rispetto all’Europa nei costi dello sforzo bellico. «Per produrre armi e munizioni c’è bisogno di materie prime, che non abbiamo e costano sempre di più» spiega Gianandrea Gaiani. «Serve pure l’energia, che in Ue ha i prezzi più alti al mondo. Il risultato è che un proiettile di artiglieria classico costa dai 500 ai mille euro in Russia e a noi dai quattromila agli ottomila».

Un anno dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, Israele si sta svenando nel conflitto che si è allargato a livello regionale con Hezbollah in Libano e l’Iran. Il governo di Benjamin Netanyahu ha in programma di aumentare il debito di 60 miliardi di dollari. Solo il costo della guerra a Gaza è stimato tra i 67 e i 120 miliardi di dollari. Stati Uniti e Germania sono i principali fornitori di armamenti a Israele. In agosto il Dipartimento di Stato Usa ha approvato la vendita per oltre 20 miliardi di dollari di forniture belliche compresi 50 aerei da combattimento F-15. L’Iran, che il primo ottobre ha lanciato 181 missili balistici contro Israele, è il quarto Paese del Medio Oriente per spesa in armamenti (10,3 miliardi di dollari nel 2023). Dal 2019 il budget per i Guardiani della rivoluzione, l’ossatura militare del regime, è aumentato dal 27 al 37 per cento. Tutte le nazioni mediorientali si sono riarmate arrivando a un totale di 200 miliardi di dollari, il picco più alto nell’ultimo decennio. L’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, ha dichiarato a Fox news che se gli iraniani faranno la bomba nucleare «anche noi dobbiamo averne una». Le trattative riservate con gli americani per un programma atomico sono in corso, ma «consentire all’Arabia Saudita di acquisire tali capacità potrebbe incoraggiare altri Stati dell’area, come Egitto o Turchia, a perseguire simili capacità nucleari, portando alla proliferazione in un Medio Oriente già volatile» ha scritto Manuel Herrera, ricercatore dell’Istituto affari internazionali.

In Asia il gigante indiano è al quarto posto della spesa militare globale con 83,6 miliardi di dollari, ma la preparazione alla guerra galoppa in Estremo Oriente con l’aumento della tensione fra Cina e Taiwan. Pechino è dietro agli Usa con 296 miliardi, ma in alcuni settori, come l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per scopi bellici, rischia di sorpassare gli americani. «La Cina sta indirizzando gran parte del suo crescente budget militare per aumentare la capacità di reazione dell’Esercito popolare» afferma Xiao Liang, ricercatore del Sipri. «Ciò ha spinto Giappone, Taiwan e altri a rafforzare significativamente le loro capacità militari. Ed è una tendenza che accelererà nei prossimi anni». Il Giappone, preoccupato dell’avvicinamento fra Pechino e Mosca, nel 2023 ha stanziato 50,2 miliardi di dollari per la Difesa e Taiwan l’11 per cento in più rispetto al 2022. Tokyo ha rafforzato la cooperazione militare con l’Italia a partire dal caccia del futuro. Il primo ministro, Fumio Kishida, discute con gli Stati Uniti di rompere il tabù sulle armi nucleari. Il timore riguarda la corsa della Cina, voluta da Xi Jinping, che nel 2035 avrà lo stesso numero di testate atomiche degli Usa. Delle 12.121 armi nucleari stimate a gennaio 2024, il 90 per cento è in mani russe o americane e 2.100 sono pronte al lancio. Ancora il Sipri, ha rivelato che «per la prima volta la Cina ha alcune testate nucleare in allerta operativa massima». La fonte di Panorama in prima linea nel riarmo tuttavia è moderatamente ottimista: «Gli iraniani, nonostante i lanci di missili su Israele, sono “sdentati” dal punto di vista militare. Né vedo Putin che sgancia una bomba atomica e non credo in un conflitto di tipo classico in Estremo Oriente per Taiwan. All’orizzonte non ci dovrebbe essere la Terza guerra mondiale». Almeno per ora.

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