Lifestyle
June 20 2018
di Ettore Maria Colombo
Metti, un venerdì pomeriggio, alla Camera dei Deputati. Tanto per cambiare, l’Aula e il Transatlantico sono tristemente vuoti. A Montecitorio regna il deserto dei Tartari. Non nella sala del Mappamondo, però, al secondo piano, dove si tiene una densa – e originale – conferenza sul rapporto tra psicoanalisi e potere, vista dal lato di due numi tutelari della prima, Freud e Lacan.
Risuonano, davanti a un pubblico folto e attento, parole importanti, e complesse, che spiega quale rapporto passa tra due mondi che, all’apparenza, sembrano lontanissimi: la Psicoanalisi e la Politica. L’evento, dedicato, appunto, a “Politica e psicanalisi”, è organizzato dall’Associazione Praxis e l’ospite d’onore è una grande psicoanalista di scuola lacaniana, Colette Soler. “Per un Muro che è caduto, nel 1989, troppi altri muri sono sorti – avverte Soler - e continuano a sorgere perché tutti abbiamo sempre più paura dei nostri simili e questa paura sembra essere la cifra del nostro tempo”.
La Soler spiega, con riferimenti ai testi sacri della psicoanalisi, la differenza tra la visione “patriarcale” di Freud, in cui il rapporto tra individuo e leader politico è simile a quello tra padre e figlio, e la più complessa visione di Lacan, nella quale l’Io (dopo la conquista dell’uguaglianza provocata anche dalla rivoluzione industriale) ricerca un rapporto quasi paritario con il leader. Ne consegue un equilibrio più difficile, un’insoddisfazione inevitabilmente più forte e la diffusione, provocata dalle moderne tecnologie, della sensazione di un’immensa solitudine.
Del resto, l’uomo del Novecento, dove la figura del “Padre-Padrone”, per dirla alla Freud, era il centro dei rapporti familiari (e sessuali), e la figura dei ‘Piccoli Padri’ della Politica (Hitler, Stalin) la sua rappresentazione – in chiave psicanalitica – nel mondo politico, non è più quello del 2000. E, infatti, Lacan coglie, già nel 1976, che quello attuale non è più “il regno dell’Uno unificante del Padrone, ma dell’Uno diversificante che regna in sintonia con l’ordine democratico, ma che si traduce nella contestazione di tutti gli Uni unificanti (Stato, partiti, etc.)”. Ecco che, dunque, “l’Uno come collettivo unificante” diventa “un’oppressione unificante, irresponsabile, un’oppressione senza oppressori”. La conclusione della Soler è che “oggi c’è meno controllo sociale, ma la minaccia dell’Uno da solo è una solitudine raddoppiata” che combatte i mali del nostro tempo (guerre, migrazioni).
La Soler, infine, non nasconde il suo pessimismo nei confronti di quanto sta avvenendo oggi in Occidente e, sollecitata a dare un giudizio sulla situazione italiana, e in particolare sull’equilibrio di governo raggiunto tra Lega e Movimento 5 Stelle, risponde che pur non pretendendo di prevedere il futuro vede all’opera spinte di natura divisiva più forti di quelle unificanti.