Economia
November 28 2021
Nei primi otto mesi di quest’anno, dopo un 2020 di passione, gli investimenti pubblicitari sono tornati a crescere del 21,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, eguagliando i valori del 2019 (fonte Nielsen). La crescita della Tv è stata particolarmente vigorosa rispetto a quella degli investimenti nella pubblicità digitale. Secondo le ultime stime disponibili di fine 2020, le grandi piattaforme come Google e Facebook detenevano il 78% degli investimenti pubblicitari nei siti, app e social media (Fonte Polimi), ed è possibile che una buona parte del recupero di questi mesi sia andato ancora una volta a loro appannaggio.
La pandemia ha prodotto un’indiscutibile accelerazione dell’uso di strumenti digitali di un gran numero di italiani “refrattari”, ampliando così il parco di potenziali consumatori che le aziende possono raggiungere proprio con la pubblicità digitale per comunicare i loro marchi.
Ma il pronosticato sorpasso della pubblicità online a scapito di quella televisiva deve ancora avvenire in Italia, e le aziende investitrici sembrano tutt’altro che determinate ad abbandonarla per le loro campagne. Nonostante le argomentazioni prevalenti riguardino sempre il suo strapotere commerciale, o al contrario il suo vero stato di salute di contenuti e ascolti, le mie esperienze di analisi delle campagne pubblicitarie degli ultimi dieci anni hanno indicato un fenomeno costante e un’altra possibile spiegazione dell’importanza che la Tv continua ad avere per molte aziende: la pubblicità in Tv è ancora più efficace di quella digitale nel costruire e aumentare il ricordo dei brand nelle persone. Nel 96% dei casi che ho avuto modo di analizzare, le persone che hanno visto il messaggio solo in Tv ricordano la marca comunicata in uno spot pubblicitario in misura maggiore di chi lo ha visto solo su siti, app e social media.
La pubblicità su Internet e nei social media è molto spesso utile per trovare, conoscere, acquistare direttamente online un prodotto, ma sono moltissime le aziende che ancora fanno pubblicità perché ci si ricordi del loro brand quando siamo davanti ad uno scaffale del supermercato, e che traggono dal business delle vendite online poco o nulla. Queste sono le aziende che producono i marchi più importanti e famosi, ad esempio quelle del largo consumo, e che da sempre sono anche le maggiori investitrici in Tv, per le quali l’obiettivo della pubblicità, anche nei siti e nei social media, è sempre quello di produrre in noi un solido ricordo del prodotto, che si traduce in un probabile acquisto al momento opportuno.
I messaggi pubblicitari audio-visivi favoriscono il nostro coinvolgimento grazie al quale formiamo un ricordo superiore a quello di altre forme di comunicazione che impiegano solo immagini o solo suoni, e per questo la Tv ha acquisito l’importanza che le riconosciamo nella pubblicità. Negli ultimi anni abbiamo visto crescere il numero di spot pubblicitari anche nelle pagine dei siti Internet e nelle app del cellulare, ma la sfida che si è posta alle aziende è come renderli accettabili, quindi non invadenti, mentre stiamo navigando su un sito o scorrendo i post nel social preferito, fino a permetterci di attivare o disattivare l’ascolto di un messaggio pubblicitario quando compare nella pagina. Non esistono dati certi a riguardo, ma tra addetti ai lavori si dice che ben l’80% degli spot pubblicitari su siti, app e social media è visto, ma non è ascoltato dagli utenti. Per ovviare a questa limitazione, la visione e ascolto di molti spot nei contenuti digitali è stata resa obbligatoria, e a molti altri che sono destinati ad essere solo visti, sono stati aggiunti i sottotitoli. Ma che quei messaggi inudibili producano i risultati attesi dalle aziende resta un grande interrogativo. Queste affrontano un dilemma con la pubblicità online, da un lato quello di rispettare gli utenti con messaggi non invadenti e fastidiosi, dall’altro di dover rinunciare ad una delle caratteristiche che rende la pubblicità efficace, come ad esempio avviene in Tv, che ha imparato negli anni addirittura ad innalzare di qualche decibel proprio l’audio dei suoi spot per catturare la nostra attenzione. Quali sono le soluzioni per ovviare a questo problema e impiegare al meglio il potenziale della pubblicità online senza contravvenire al patto di discrezione con i consumatori? La prima è disporre di una conoscenza indipendente e oggettiva del funzionamento delle proprie campagne, che consenta di capire l’entità del problema e quali accorgimenti adottare sulle scelte di investimento. Come diceva Lord W.T. Kelvin, “Se non si può misurare qualcosa, non si può migliorarla”. La seconda è ideare messaggi più coerenti ed efficaci, ottenendo la massima resa dai media digitali e da come essi sono impiegati dalle persone, piuttosto che trasporre uno spot nato per la Tv a cui si sono aggiunti i sottotitoli. Ad un’azienda costa produrre diversi messaggi per lo stesso brand, ma il rischio di fare della pubblicità inefficace produce alla fine un costo molto maggiore. La terza possibilità è quella di combinare Tv e media digitali, così che ciascuno di essi contribuisca con il suo potenziale al migliore risultato.
I suoni e le parole continueranno a essere elementi determinanti della nostra esperienza digitale, quando ci informiamo, divertiamo e compriamo. La crescita esponenziale di podcast, la nascita di nuovi social media come Clubhouse e Twitch, che si aggiungono a tutto quanto oggi, e in ogni minuto, siamo soliti ascoltare con i nostri device, ce lo confermano. E la pubblicità, che è la fonte economica che ci consentirà ancora per molto tempo di accedere gratuitamente a questi contenuti e servizi digitali, non può esserne da meno.
Andrea Giovenali
CEO di Nextplora e autore di “La pubblicità nell’era digitale