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October 22 2015
È con parole dure, ma anche scontate, che il portavoce della Casa Bianca, Eric Schultz, ha commentato la visita del presidente siriano al Cremlino: "Abbiamo visto il benvenuto con tanto di tappeto rosso riservato a Mosca per Assad, che ha usato armi chimiche contro il suo popolo. Un'accoglienza in contrasto con gli obiettivi dichiarati della Russia per una transizione politica in Siria". Una frase che di fatto rimarca, semmai ve ne sia mai stato bisogno, quanto profonde siano le divergenze strategiche tra Stati Uniti e Russia sulla delicata questione della guerra civile siriana e della eventuale rimozione di Assad, che gli americani e i Paesi occidentali alleati vorrebbero disarcionare, e che i russi e gli iraniani vorrebbero invece vedere ancora in sella, considerandolo l'unico argine interno all'avanzata dei soldati di Al Baghdadi e all'espansionismo americano in Medioriente.
In realtà però, al di là delle apparenze, l'alleanza tra Vladimir Putin, che ha in Siria l'ultima base militare nel mondo sopravvissuta alla dissoluzione dell'Impero sovietico, e Bashar Assad è assai meno ferrea di quanto comunemente si creda, come ricordano stamane Steven Lee Myers e Anne Barnard sulle pagine del New York Times. I due giornalisti ricordano come, nell'inverno 2012, Putin era assai meno convinto di quanto sia ora che Assad fosse il cavallo giusto su cui puntare a seguito di una eventuale stabilizzazione della situazione in Siria: "Non siano così preoccupati del futuro del regime siriano" disse allora Vladimir Putin. Quella tra il capo russo e Assad, scrive il NyT, è insomma "una relazione al peperoncino". Alleanza sì, ma dettata più che da una comune visione personale e strategica, dalla necessità di evitare che Damasco finisca sotto la sfera di influenza americana.
I due leader, infatti, sarebbero distanti su molti punti, benché ora si ritrovino a combattere la stessa battaglia. Al Cremlino non è andata giù "l'arroganza" con cui Assad ha risposto finora alle richieste russe, rifiutando di concordare con Mosca un piano per procedere all'amnistia verso una parte dei ribelli e rilanciare così, con vari soggetti dell'opposizione al regime, i colloqui di pace a Mosca. Il punto, ha spiegato Dmitri Trenin, l'autorevole direttore del think tankCarnegie Moscow Center, è che "i russi non considerano Assad una vacca sacra: per loro è prioritario salvare lo Stato siriano, o quel che ne rimane, per evitare uno scenario libico o yemenita". Benché Putin continui a offrire supporto militare e diplomatico all'agonizzante regime di Assad, sarebbe pronto insomma, qualora le condizioni cambiassero, ad abbandonare Assad al suo destino, scrivono i due inviati sul New York Times.
Nonostante Assad e Putin siano saliti insieme al potere, attorno al 2000, background culturali e storie personali sono molti differenti. "Non c'è chimica tra i due" ha detto un diplomatico di lungo corso nella regione. È insomma un'alleanza tattica, transitoria. Un matrimonio di interessi, per Putin dettato dall'esigenza di evitare che la Siria finisca sotto la sfera di influenza americana. Resta da vedere se Putin riuscirà a convincere il dittatore siriano ad accettare un piano di pace con una parte dei ribelli. La miglior sintesi l'ha trovata un diplomatico americano in Siria, citato dal New York Times: "L'influenza di Putin su Assad è come quella di Obama con Netanyahu". Alleati sì, ma un'alleanza al peperoncino.