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November 15 2017
Se qualcuno, negli Stati Uniti, pensava che le prossime elezioni del 18 marzo 2018in Russia potessero offrire l’occasione di rifarsi col Cremlino per le ingerenze patite, forse ha sbagliato i suoi calcoli.
Da una parte Donald Trump ha appena rifilato l’ennesima delusione alla comunità dell’Intelligence Usa (e per estensione a tutti i suoi alleati atlantici) dicendo che lui di Putin, appena incontrato in Vietnam, si fida. Gli credeva prima e gli crede ora. Punto. E qui delle due l’una: o mente Putin o mente l’Intelligence.
Trump sembra aver deciso da che parte stare, fin dal primo momento, e questa non è una buona notizia per i vertici di Cia, Fbi e Nsa, cioè il gotha dei servizi segreti Usa, i quali invece concordano ormai da tempo: la Russia ha interferito durante le ultime elezioni presidenziali americane.
Dopo l’ennesimo tradimento presidenziale, due ex capi dei servizi, John Brennan(Cia) e James Clapper(Dni), hanno avuto parole durissime nei confronti di Trump. Quindi se l’America aveva in mente un piano per controbattere all’offensiva d‘information war di Mosca, al momento il piano sembra senza coordinamento, a meno che non sia tutta una tattica (ma appare assai maldestra) o qualcosa non venga messo in campo per singola iniziativa di un’agenzia, ma con regole d’ingaggio non autorizzate.
Più facile a dirsi che a farsi, senza una chiara catena di comando. Ma lo scenario di un’offensiva occidentale in termini di cyber-guerra contro il Cremlino appare complesso anche per un secondo fattore. Come il Regno Unito, la Spagna, la Francia e in parte anche l’Italia sanno bene, la Russia ha sviluppato una capacità straordinaria di agire nel terreno dell’information war.
Con l’aggravante, non trascurabile, che da una parte si ha la certezza della cosa, ma dall’altra è assai difficile provarla. E’ insomma il cono d’ombra del web, della galassia dell’Information and Communications Technology che è nata nel mondo Occidentale, ma sembra ora avere al timone un ammiraglio russo molto capace e sicuro di sé. Il gap è evidente.
Anche le star internazionali, a partire da Edward Snowden fino a Julian Assange, non sembrano giocare per gli alleati atlantici. Mosca insomma raccoglie in questa fase storica un progetto evidentemente messo a punto in tempi non sospetti.
Non sarà quindi facile trovare le contromisure, sia dal punto di vista della difesa che da quello dell’eventuale offesa o almeno della deterrenza. La guerra informatica, in altre parole, è pulita solo per modo di dire.
L’ultimo caso eclatante, la ragazza col velo che passa indifferente sul ponte londinese dove si è appena consumato un attacco dell’Isis, sembra ormai certo essere opera di un troll russo. Un disegno al quale vengono ricondotti, al momento, grandi imprese: dall’elezione di Trump passando per la Brexit, dalla destabilizzazione catalana fino al referendum costituzionale italiano.
Theresa May lo ha detto solo ieri a chiare lettere: la Russia sta militarizzando l’informazione. Se a questo si aggiunge il gradimento di Putin nell’elettorato, la sua rielezione il 18 marzo (non a caso l’anniversario del rientro della Crimea nella Federazione Russa) appare scontata.
L’Occidente starà a guardare? Dal momento che nessuno dovrebbe interferire negli affari interni di un altro Paese, sì. Ma se volesse invece agitare le acque a Mosca, potrebbe farlo? La Russia considera già inaccettabile la risonanza che l’Occidente offre, sui propri media, all’opposizione guidata da Alexei Navalny, figuriamoci se tollererebbe azioni più ostili.
Di certo, le prossime elezioni russe appaiono come un appuntamento fondamentale per i futuri assetti globali e per decifrare i rapporti di forza diplomatici, entrati ormai a pieno titolo nell’era instabile del web 3.0.