Dal Mondo
February 21 2023
Un discorso stanco, monotono e pieno di luoghi comuni reiterati. Con il triviale leit motiv di un’Ucraina da «denazificare» e un «regime» insediatosi a Kiev da abbattere a tutti i costi, da cui l’inevitabile «operazione speciale» lanciata «al solo scopo di proteggere la Russia», minacciata dall’Ucraina stessa e dalla Nato.
Nel lungo e tedioso discorso tenuto dal presidente della Federazione Russa Vladimir Putin di fronte all’assemblea federale per l’annuale appuntamento sullo Stato della Nazione, emerge soltanto l’urgenza di segnalare al popolo russo come questo «appuntamento con la storia» cada «in un momento complicato per il nostro Paese, in un periodo di drastici cambiamenti nel nostro mondo». E che dunque, dall’esito della guerra, o meglio da quelli che lui chiama «eventi storici», dipenderà «il futuro del nostro Paese» e che «ognuno di noi è legato da un’enorme responsabilità».
L’unica vera notizia che se ne cava, probabilmente, è relativa al nucleare: «Sospendiamo la partecipazione a trattato Start, ma non ce ne ritiriamo» dice Putin, a voler impressionare ma soltanto a metà. Il riferimento è al trattato di riduzione degli armamenti strategici tra Stati Uniti e Russia firmato nel 2002.
Putin cita anche l’Italia, sottolineando implicitamente l’ingratitudine di Roma verso Mosca, e lanciando un messaggio in stile padrino: «La Russia sa essere amica e mantenere la parola data, non deluderà nessuno e sosterrà sempre i suoi partner in situazioni difficili, lo dimostra il nostro aiuto ai Paesi europei, come l’Italia, durante il momento più difficile della pandemia di Covid, esattamente come stiamo andando in aiuto nelle zone del terremoto».
Per il resto, nella prima delle due ore di discorso, è come se Putin richiamasse tutti alle proprie responsabilità e alla certezza che non si può far altro che continuare a combattere, perché vincere è la sola speranza per non perdere tutto. Chiama «eroi» tanto i soldati russi quanto gli ucraini che hanno votato per l’annessione delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, e ripropone la retorica della difesa del Paese, enfatizzando la minaccia del «nemico alle porte».
Il presidente appare in buona salute - di certo più che in passato -, all’apparenza lucido e irremovibile sulle proprie posizioni. «L’Occidente vuole trasformare un conflitto locale in uno globale e ha voluto dirigere l’aggressione verso est per eliminare la concorrenza» sostiene, come al solito. «Voglio ripeterlo: sono loro i colpevoli della guerra, e noi stiamo usando la forza per fermarli» dice tra i grandi applausi della sala. «Più arriveranno armi all’Ucraina, più continueremo a spingere per evitare che cresca la minaccia ai nostri confini» ribadisce, tirando in ballo non solo le «bugie» dell’Occidente, ma anche le sue «perversioni», passando in maniera un po’ grottesca dalla guerra contro l’Occidente a quella contro i diritti Lgbt; un altro argomento molto comune nei suoi discorsi, ormai quasi immancabile.
«Famiglia significa unione tra un uomo e una donna» dice, aggiungendo che «così dicono i testi sacri di ogni religione sulla Terra». Mentre l’Occidente «sta mettendo in dubbio questi testi sacri […] assistiamo a preti che celebrano le unioni tra persone dello stesso sesso […] Dobbiamo proteggere i nostri figli dal degrado e dalla degenerazione, e lo faremo».
Tornando agli affari esteri, Putin afferma che durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco della scorsa settimana sono state lanciate molte accuse alla Russia per distogliere l’attenzione dalle azioni occidentali, la cui colpa è aver «fatto uscire il genio dalla bottiglia» e avere di conseguenza gettato il mondo intero nel caos. «I sacrifici umani e le tragedie non sono tenuti in conto da loro... Devono continuare a rubare a tutti, mascherandosi dietro slogan di democrazia e libertà» sentenzia il presidente russo.
Dal suo punto di vista, l’Occidente sta inoltre «deviando l’attenzione della gente dagli scandali della corruzione» europea. E lo accusa di aver «aperto la strada» alla presa del potere da parte dei nazisti negli anni Trenta, affermando che dal XIX secolo in avanti ha cercato di strappare alla Russia le sue terre storiche, come «quella che oggi si chiama Ucraina».
«Tutto si ripete», afferma Putin, facendosi tragico. «L’Occidente ha finanziato la rivoluzione del 2014 in Ucraina che ha dato origine alla russofobia, al nazionalismo estremo». Per questo, «m’inchino alle famiglie e alle mogli dei soldati» che hanno combattuto, il cui elenco di reparti militari che avrebbe voluto ringraziare in questo discorso era troppo lungo da leggere.
Putin promette però di creare «una speciale fondazione governativa il cui compito sarà quello di fornire aiuti mirati ai partecipanti alla cosiddetta operazione militare speciale e alle loro famiglie. La fondazione coordinerà l’assistenza sociale e medica, l’occupazione e l’imprenditorialità, e le questioni dovranno essere risolte in tempo reale». Ed è questo il passaggio in cui Putin tenta di dipingere l’arruolamento nell’esercito come un’impresa desiderabile, annunciando «salari più alti, sicurezza sociale e agevolazioni per l’acquisto di case per coloro che lavorano nel settore militare».
Nella parte forse più interessante del discorso, quello in cui Putin affronta l’aspetto economico interno, rivolge la sua attenzione all’impatto della guerra in Russia e ringrazia anzitutto insegnanti, costruttori e agricoltori, tra gli altri, che hanno combattuto in prima linea. «Le sanzioni imposte alla Russia da vari Paesi sono una punizione per se stessi», sostiene Putin, indicando l’aumento dei prezzi, la chiusura di aziende e la crisi energetica. «Incolpano i russi di tutto», afferma, ma a perdere «saranno loro».
Il presidente asserisce che l’economia russa si è dimostrata «più resistente del previsto di fronte alle sanzioni internazionali» e che il Pil non è sceso così tanto come era stato previsto. «Avevano previsto un crollo dell’economia russa, ma le imprese russe hanno ricostruito la loro logistica e le loro partnership». E rilancia con l’idea di voler costruire «un sistema sicuro di pagamenti internazionali che riduca la dipendenza dall'Occidente» perché «non dobbiamo ripetere i nostri errori. Non dobbiamo distruggere la nostra economia».
Putin, che usa spesso il suo discorso sullo Stato della Nazione per elogiare i raccolti di grano, ringrazia gli agricoltori russi per quello che definisce un «raccolto record» e annuncia che intende aumentare l’esportazione di grano «a 60 milioni di tonnellate entro la fine del 2023».
La crescita economica, inoltre, a suo dire «è diminuita nel 2022 rispetto al 2021 di un solo 2,2% e il collasso non c’è stato». Mentre parlando dei piani e delle ambizioni per il futuro della Russia, afferma che «è il tempo di migliorare i collegamenti economici». Parla di estendere le autostrade da Mosca a Kazan e con la Mongolia e la Cina, per aumentare i collegamenti tra Russia e Asia orientale. Vuole inoltre sviluppare un corridoio internazionale nord-sud, migliorando i collegamenti con l’India, l’Iran e il Medio Oriente. Anche la modernizzazione delle ferrovie e il miglioramento delle rotte marittime settentrionali fanno parte del piano.
Insomma, ne discorso-fiume alla nazione russa (oltre 120 minuti), Vladimir Putin offre al suo popolo e al mondo intero un copia incolla incolore di precedenti affermazioni e dichiarazioni, senza annunci altisonanti o novità da segnare sul calendario. Non un’apertura verso le trattative di pace, ma neanche un discorso incendiario («abbiamo armi più potenti» si limita a dire).
Sembra quasi che l’appuntamento tanto atteso abbia rappresentato semplicemente un passaggio obbligato, senza alcuna nuova argomentazione o messaggio da recapitare ad altri Paesi. Nelle sue parole non si rileva niente di fondamentale da poter cambiare gli equilibri in essere, e questo non fa che confermare lo stallo della guerra in corso.
Il presidente Usa Joe Biden, che ha atteso nel castello di Varsavia le parole di Putin prima di replicare, può insomma stare tranquillo: nulla cambia, tutto scorre. Soprattutto il sangue dei soldati ucraini e russi, mandati a morire a decine di migliaia per riaffermare l’esistenza di due nazioni che la storia ha diviso e che non saranno certo le bombe a riunire.