Calcio
November 15 2022
Che il Mondiale d'inverno in Qatar, nel mezzo del deserto, fosse una forzatura figlia di logiche molto politiche e ben poco sportive non lo scopriamo oggi. E nemmeno che il Paese ospitante, a suon di miliardi di dollari investiti a pioggia, non sia un modello ideale di rispetto dei diritti umani, delle minoranze e dell'eguaglianza. E' semplicemente ricco sfondato come lo era il 2 dicembre del 2010, il giorno in cui l'allora presidente della FIFA, Sepp Blatter, scelse di rompere ogni protocollo e tradizione assegnando in contemporanea sia l'edizione del 2018 alla Russia che quella del 2022 al Qatar. Beffando gli Stati Uniti e dando il via a un terremoto che ha travolto lo stesso Blatter e messo a dura prova la tenuta della FIFA.
Che il Mondiale in Qatar fosse una questione di soldi, soft power e geopolitica lo si sa da quel giorno e quello che è successo nei 4.380 (mal contati) successivi non ha fatto altro che confermarlo, tra inchieste, scandali e un fiume di denaro riversato sulla manifestazione che va a iniziare e sul mondo del calcio. Non esiste nessuno che non sia consapevole del link stretto che unisce Qatar 2022 alla parabola del PSG qatariota, ad esempio, nessuno che non sia sfiorato dal sospetto che proprio l'assegnazione dell'allora FIFA abbia segnato un punto di non ritorno nel processo di trasformazione del calcio da sport e intrattenimento a strumento di politica economica.
La premessa è necessaria perché le manifestazioni di dissenso, ora che il momento del calcio d'inizio si avvicina, sono legittime ma appaiono un po' strumentali. Ed ipocrite. A meno che non siano pagate di tasca propria come stanno facendo alcuni artisti che declinano gli inviti a suon di compensi milionari per andare in Qatar a prestare la propria faccia. Un plauso a loro, meno a chi non ha esercitato in questi anni quella sottile ma potente arma di pressione rappresentata dalla minaccia di non partecipare e basta al Mondiale in Qatar.
Cosa sarebbe accaduto se tanti si fossero opposti, invece di tentare oggi l'improbabile strada di presentarsi con scritte e maglie di denuncia per le violazioni dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani in generale? Se il "no, grazie" fosse stato corale è difficile che la FIFA potesse non tenerne conto. Questa FIFA nata dalle ceneri di quella di Blatter e che cammina sul filo sottile dovendo tenere insieme la necessità di portare a termine il Mondiale, l'enorme business che ne deriva, la violenza sui calendari agonistici di mezzo mondo (quello che paga gli stipendi delle stelle del pallone) e il tentativo di dare un senso etico alla trasferta in Medio Oriente.
E' possibile che qualche miglioramento nelle condizioni del popolo qatariota e di chi frequenta quelle latitudini sia avvenuto, come rivendica il numero uno di Zurigo, Gianni Infantino. E' tutto da verificare se si tratti di un maquillage di facciata o di riforme che resisteranno anche dopo il 18 dicembre, data della finale della Coppa del Mondo. In ogni caso scoprire oggi che giocarli, questi Mondiali, non sono altro che consentire all'emiro di chiudere il cerchio e presentarsi al mondo con un volto accettabile è ipocrita.
Ipocrita come attaccare la Rai che si è presa i diritti tv pagandoli a prezzo di mercato, beffata poi dall'eliminazione della nostra nazionale. Ipocrita come farlo da dentro la stessa azienda (Fiorello) o da fuori, salvo poi attaccarla se questo non fosse accaduto. O minacciarne un boicottaggio diplomatico salvo poi annunciare di essere pronti ad andare per non perdersi l'eventuale finale della propria squadra (Macron). Meglio il silenzio. Oggi. Il tempo per alzare la voce e mettersi concretamente di traverso c'è stato, non breve, ma nessuno è andato fino in fondo.