Quando la sessualità diventa disabile
I diritti delle persone affette da disabilità fisica e/o mentale a vivere la propria sessualità sono tuttora un argomento che suscita, perlomeno nel nostro Paese, giudizi contrastanti. Il film “The sessions”, che mette per la prima volta sullo schermo l’argomento dell’assistenza sessuale per le persone diversamente abili, può fornire diversi spunti di riflessione.
Ho sempre creduto che la sessualità delle persone affette da disabilità fosse un argomento delicato, ma allo stesso tempo anche scomodo.
In primo luogo scomodo per le stesse figure professionali, alle quali viene insegnato a prevenire, o almeno a limitare, la comparsa dei cosiddetti “comportamenti problema”, siano essi atteggiamenti aggressivi che espliciti comportamenti sessuali che possono in certo qual senso ledere il “buongusto” di chi ne diviene partecipe.
È poi scomodo per gli stessi genitori che si trovano a dover gestire, oltre alle difficoltà quotidiane, i prorompenti istinti innati di una “sessualità disabile” che è purtroppo ancora oggi non accettata dalla società.
Perché alla base delle credenze sociali c’è purtroppo la convinzione che tutto ciò che
si discosta dalla “normalità”, dalla sessualità “convenzionale”, sia un argomento tabù, un argomento che dà fastidio, e pertanto vada dimenticato. Questo aspetto viene affrontato in modo molto chiaro nel recente libro del giornalista Gianluca Nicoletti.
La conferma che la sessualità delle persone diversamente abili sia tuttora un argomento inconcepibile è data dal clamore che il film “The sessions” ha suscitato, perlomeno tra il pubblico italiano. Se da una parte potremmo pensare che ogni argomento possa scatenare svariate emozioni quali stupore, divertimento, imbarazzo, dall’altra dovremmo riflettere sul perché un film che parla dei diritti sessuali delle persone diversamente abili sia in grado di colpire in maniera così forte l’attenzione dello spettatore.
Sarà perché l’assistenza sessuale, che dovrebbe avere il fine di far provare per la prima volta, o di far riprovare alla persona affetta da disabilità l’emozione di essere finalmente anche un corpo sessuato, può essere intesa solo come un “commerciare il proprio corpo a fini remunerativi”.
Sarà perché il protagonista del film al quale è affidato il compito di individuare un assistente sessuale per Mark, ragazzo trentottenne completamente paralizzato, è un prete, che non solo raccoglie la confessione “scottante” di Mark di voler perdere la verginità, ma ancora di più, la accetta e ne riconosce la legittimità.
Un film come “The sessions” è da ritenersi come un episodio ancora isolato e tale rimarrà finché la sessualità sarà concepita come un tabù. E ancora di più quella delle persone diversamente abili. Forse una cosa da fare, ancora prima di lottare per la legittimazione dei diritti sessuali delle persone affette da disabilità, è quella di promuovere la concezione di un “corpo disabile” come un “corpo sessuato”, quindi vivo, in grado di ricevere, ma anche di dare, piacere psico-fisico.
Erika Limoncin
Psicologa, Psicoterapeuta;
Psiconcologa e Sessuologa;
Dottoranda di ricerca in medicina sperimentale e endocrinologia, corso di Sessuologia medica presso l’Università degli Studi dell’Aquila.
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