Economia
February 08 2018
L'ultimo bollettino economico della Banca centrale europea (Bce), pubblicato nella mattina di giovedì 8 febbraio, contiene parole abbastanza rassicuranti: “nel medio periodo”, hanno scritto gli analisti dell'authority presieduta da Mario Draghi, “l'inflazione. dovrebbe aumentare gradualmente”. Non ci sarà dunque una fiammatadel costo della vita ma un riavvicinamento al livello del 2% che la Bce ha fissato come obiettivo per il tasso di aumento dei prezzi al consumo .
Eppure, nonostante le rassicurazioni della banca centrale, da giorni si teme una nuova possibile ripresa dell'inflazione, persino in Europa dove il carovita risultava a dicembre ancora inchiodato a un modesto 1,4%. Se fino a qualche mese fa c'era ancora timore della deflazione, cioè di un calo generalizzato dei prezzi capace di deprimere l'economia, ora a far paura è il fenomeno opposto, cioè una ripresa del costo della vita.
Del resto, i fattori per dare una spinta all'inflazione ci sono tutti. L'economia è in ripresa e il prodotto interno lordo mondiale dovrebbe crescere di oltre il 3% nel 2018. In alcuni paesi avanzati, compresa la Germania campionessa di austerity, c'è una spinta verso gli aumenti dei salari, come testimonia il recente accordo firmato dai metalmeccanici del Baden Wurtenberg (che, oltre a una riduzione dell'orario di lavoro, avranno anche un incremento delle retribuzioni).
In Italia la ripresa dei salari ancora non si vede e addirittura, secondo le stime della Trade Union Congress, la confederazione internazionale dei sindacati, nel 2018 ci sarà un calo delle retribuzioni reali nel nostro Paese (-0,8%), cioè calcolate tenendo conto dell'inflazione. Tuttavia, ci sono certe categorie professionali che hanno già beneficiato di qualche aumento. E' il caso dei dipendenti pubblici che, dopo ben 7 anni di austerity e di blocco dei salari, dal 2018 avranno un una media di 80 euro al mese in più sulla busta paga, a cui si aggiungono gli arretrati del 2017.
Se i salari crescono, anche i prezzi hanno di conseguenza buone probabilità di salire, visto che milioni di persone si trovano in tasca alla fine del mese qualche soldo in più da spendere. Senza dimenticare, poi, che da tempo sono in ripresa anche le quotazioni delle materie prime, dopo un trend ribassista durato diversi mesi.
“Nel 2016 e 2017 il prezzo del petrolio è aumentato quasi del 90%”, ricorda Erik Knutzen, manager della casa di investimenti Neuberger Berman, che sottolinea altri due fattori oggi favorevoli a una ripresa dell'inflazione a livello internazionale: il rialzo dei salari di fascia medio-bassa negli Stati Uniti e il rialzo dei prezzi nel settore manifatturiero in Cina.
Con il carovita sotto il 2% in Europa e sotto il 3% in America, avere paura dell' inflazione appare a in teoria un po' esagerato. Più che un aumento fuori controllo dei prezzi, però, quel che si teme oggi è che l'inflazione cresca più del previsto, costringendo le banche centrali ad alzare i tassi d'interesse a una velocità maggiore rispetto a quanto programmato, proprio per arginare l'avanzata del carovita.
Un rialzo dei tassi troppo spedito avrebbe a sua volta un contraccolpo diretto sui mercati finanziari visto che oggi c'è in circolazione una montagna di obbligazioni che rendono poco o nulla, essendo state emesse quando il costo del denaro è finto sotto zero. In caso di una risalita dei saggi d'intesesse, i prezzi dei bond già emessi sul mercato sono infatti destinati inevitabilmente a svalutarsi, visto che sono assai poco generosi nei rendimenti e diventano molto meno attraenti rispetto ai titoli obbligazionari di nuova emissione.
Ecco dunque spiegato il motivo per cui l'inflazione oggi viene nuovamente temuta: non come fenomeno in sé ma per la reazione a catena che provocherebbe nel sistema finanziario. Attualmente, però, molti osservatori dei mercati invitano a non fare troppi allarmismi.
“La Banca Centrale Europea è stata chiara sulle sue intenzioni”, dice Massimiliano Maxia, specialista sul segmento del reddito fisso della casa di gestione Allianz Global Investor, “e ha fatto capire che non alzerà i tassi fino alla primavera del 2019”. Un atteggiamento prudente ci sarà anche da parte della Federal Reserve, la banca centrale statunitense che, sottolinea Maxia, “dovrebbe alzare i tassi almeno due o tre volte nel corso del 2018”. Il tutto, però, avverrà probabilmente in maniera graduale, senza strappi e senza traumi, o almeno si spera.