Quando un padre, Gerard Butler alla ricerca del sentimento perduto - La recensione
Una belva. Si chiama Dane Jensen, si legge Gerard Butler. Che con il suo capo prossimo alla pensione Ed (Willem Dafoe) macina persone e speranze facendo il cacciatore di teste con metodi disumani e impetuosi getti d’adrenalina. Funziona così in Quando un padre dell’esordiente Mark Williams (in sala dall’8 giugno) e nell’America di quei gelidi manager che reclutano risorse umane su commissione di grandi aziende. Non puoi sbagliare, perciò diventi cattivo. Perfino con chi ti lavora accanto e che magari è addirittura peggiore di te come l’astuta Lynn (Alison Brie), insidiosa gattona concentrato di bellezza, astuzia e competitività, sempre lì pronta a farti, come si dice, le scarpe.
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Dietrofront: c’è la famiglia prima di tutto
Normale? Mica tanto. Più normale, invece, che il feroce Dane, dopo aver trascurato per anni la sua famiglia a vantaggio della scalata aziendale e sociale, recuperi importanti livelli di umanità quando il figlioletto Ryan (il piccolo e capace Max Jenkins) s’ammala di leucemia con scarse aspettative di vita. Ed esumando finalmente la sua benignità sepolta a beneficio dei sentimenti recuperi non solo il rapporto col ragazzo ma anche con se stesso e, in buona parte, con sua moglie Elyse (Gretchen Mol), mettendo pure da parte i febbrili, feroci e impersonali metodi da headhunter per incominciare una insolita (per lui) incursione nei paraggi del cuore.
Pare un miracolo per uno che fino a quel momento ha pensato soltanto al denaro e s’è messo a posto la coscienza consegnando ai suoi una vita agiata e una casa lussuosa. Anche questi elementi e queste esteriorità – che in genere non guastano in un ambito famigliare sano – perdono così il loro significato e la loro funzione: come del resto il lavoro che, rapidamente trascurato, declina.
Quel lungo viaggio nella conoscenza e nella coscienza
Nella Chicago notturna il film ha toni classici, delicati e sommessi, capaci di stemperare il contrasto violento fra il ruolo pubblico del protagonista – così bene inciso da Butler - e la sua ricalibratura in funzione privata; vivendo attorno alla relazione padre-figlio, sospesa tra favola e dramma in un viaggio nella conoscenza/coscienza, i suoi passaggi più toccanti e profondi.
La fotografia del quotatissimo Shelly Johnson, solitamente autore d’immagini dinamiche e fragorose in film come Captain America, I mercenari 2, Jurassic Park III, Wolfman, Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, qualifica il racconto con un touch decisamente classico, fatto di soffici infiltrazioni nel percorso orizzontale della storia e nelle sue caratterizzazioni soprattutto interiori.
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