Politica
January 14 2022
Potremmo chiamarla la “seconda discesa in campo”, dopo quella del ’94. O se volete la “salita” in campo, visto che stavolta si tratta di conquistare il Colle più alto. Della candidatura di Berlusconi per il Quirinale se ne parla da settimane. Ma vederla formalizzata, con una nota ufficiale della coalizione di centrodestra, fa indubbiamente un certo effetto. La corsa del fondatore di Forza Italia, nonostante la cosiddetta “riserva” dell’interessato non sia ancora sciolta, è la prima azione da gol in una partita appena cominciata. Dopo l’incontro di Villa Grande, la famosa “prova di lealtà degli alleati” è arrivata davvero. I leader del centrodestra si dichiarano d’accordo sul fatto che Berlusconi è “la figura adatta per ricoprire in questo frangente difficile l’alta carica di capo dello Stato…con autorevolezza ed esperienza”.
Il primo risultato, a caldo, è che nessuno ride più al pensiero di vedere il Cav varcare la porta del Palazzo dei Papi. Non è più fantasia: è un’opzione politica concreta. Le risate si sono tramutate in gelo misto a terrore. Nessuno ride anche perché, nell’aneddotica berlusconiana, da Milano Due, alle televisioni, fino alle coppe dei campioni, ciò che inizia con una risata di scherno spesso si è concluso con il raggiungimento di traguardi che non si credevano immaginabili. Non sappiamo se sarà questo il caso.
Il secondo risultato, se vogliamo, è che la candidatura di Berlusconi in qualche modo “presidenzializza” l’elezione del Capo dello Stato. Crea un precedente. A parte il lontano esempio di Saragat, i leader di partito non vengono annoverati tra i quirinabili. Fino, per l’appunto, ad oggi. Il fatto che il Cav guardi ai grandi elettori come fosse un collegio d’un piccolo paese di mille abitanti, ove bussare porta a porta per chiedere il voto, proietta collettivamente l’idea di un presidente della Repubblica “sindaco d’Italia”. Molti inorridiranno all’idea, altri potrebbero considerarla l’ennesimo colpo di genio berlusconiano che anticipa i tempi, com’è stato, nel’94, con l’avvento di quel bipolarismo innescato proprio da Berlusconi. Di più: i sostenitori del capo di Forza Italia potrebbero interpretare questa candidatura come uno squarcio sull’ipocrisia quirinalizia, quella che vorrebbe venderci un capo dello stato super partes, quando in realtà ogni presidente porta al Colle il suo pensiero, la sua storia personale, il suo modo di vedere le cose. E lo abbiamo visto con chiarezza nelle presidenze “forti” di Napolitano e Mattarella.
Detto questo, come si diceva, siamo solo al fischio d’inizio. E adesso le ipotesi sono tre.
La prima ipotesi: il miracolo. Berlusconi trova, non si sa come, i voti mancanti per raggiungere il sacro quorum nelle due settimane che ci separano dal quarto scrutinio, e convince gli indecisi garantendogli il non scioglimento delle camere più di ogni altro candidato alternativo. Eventualità questa data oggi per improbabile. Ma non si sa mai.
Seconda ipotesi: una sconfitta senza rete. Berlusconi non riesce a mettere il pallottoliere dalla sua parte, e i franchi tiratori lo tradiscono anche all’interno della coalizione, con l’alto rischio che il centrodestra vada in pezzi. E che gli avversari ne approfittino per aprire tutt’altro scenario e imporre un presidente “sinistro”.
Terza ipotesi: esiste un piano B. Una strategia di riserva nel taschino di Meloni e Salvini, strategia magari segretamente condivisa da Berlusconi stesso. Nei prossimi giorni si prosegue a tappeto nell’opera di convincimento degli indecisi, si arriva a un passo dal quorum, e in zona Cesarini Berlusconi fa un passo di lato. Scioglie negativamente la riserva e gioca una carta “moderata” che gli avversari non possono rifiutare (Draghi? Casini? Amato? Pera? Moratti?). In questo caso il Cavaliere non sarebbe “king”, ma sicuramente “kingmaker”.
In ogni modo, una cosa è certa: comunque vada a finire, l’elezione del Capo dello Stato entra nel vivo, e il protagonista quasi assoluto, in queste ore, è sempre Berlusconi. Solo qualche settimana fa, nessuno l’avrebbe lontanamente immaginato.