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October 07 2019
i cardinali che in conclave sono entrati Papa, ma ne sono usciti con la stessa porpora che indossavano all’ingresso si potrebbe fare un lungo elenco. E quel che vale per la Chiesa quando si deve nominare il sostituto di Pietro, vale anche per la politica. La via del Quirinale è infatti lastricata di illustri candidati rimasti tali. Tanto per dire, nel 1964, quando fu eletto Giuseppe Saragat, la lista dei pretendenti era assai lunga. Si andava da Giovanni Leone ad Amintore Fanfani, da Umberto Terracini a Pietro Nenni, con in mezzo i nomi di Giulio Pastore, Brunetto Bucciarelli Ducci, Paolo Emilio Taviani, Cesare Merzagora, Attilio Piccioni ecc ecc. Alla fine la spuntò il segretario del Psdi, candidato dalla sinistra, ma solo al 21esimo scrutinio. Non fu molto diversa l’elezione di Giovanni Leone, sesto presidente della Repubblica. All’inizio i nomi in campo erano quelli di Amintore Fanfani per la Dc e di Francesco De Martino per la sinistra, con in mezzo Giovanni Malagodi per i liberali, più altri che erano solo di bandiera. Finì con l’elezione dell’avvocato napoletano, ma solo dopo che 23 scrutini avevano bruciato tutti gli altri candidati. Si potrebbe dire la stessa cosa per Oscar Luigi Scalfaro, che fu la terza scelta e salì al Colle con le bombe di Capaci.
Sì, l’elezione del capo dello Stato negli ultimi settant’anni è stata sempre un terno al lotto e ogni volta le manovre di avvicinamento dei potenziali presidenti sono iniziate molto prima del cosiddetto semestre bianco. Per il prossimo presidente, il 13esimo, cioè quello che verrà nel 2022 dopo Sergio Mattarella, le trame sono iniziate con largo anticipo, manifestandosi fin dall’estate che si è appena conclusa. Durante la crisi di governo e il successivo varo della nuova maggioranza giallo-rossa, il calcolo di chi potrà occupare la poltrona sul Colle non è infatti rimasto fuori dal giochi. Come spiega il nostro Giorgio Gandola nelle pagine che seguono, a puntare in alto sono molti e tutti con buone ragioni. Romano Prodi, per esempio, vorrebbe concludere la carriera politica nel migliore dei modi, cioè prendendosi una rivincita sui nemici che lo affossarono nel 2013, quando 101 traditori del Pd lo pugnalarono nel segreto dell’urna nonostante Pier Luigi Bersani lo avesse scelto come candidato del partito. Anche Massimo D’Alema ha buoni motivi per pretendere una seconda chance: nel 2006 era lui su cui puntavano i Ds, ma alla fine il candidato a perdere, cioè Giorgio Napolitano, fu eletto al quarto scrutinio. Di Pier Ferdinando Casini si può dire che nel 2015, quando la scelta di Matteo Renzi cadde su Sergio Mattarella, fino all’ultimo sperò che l’accordo sull’ex giudice costituzionale ed ex ministro della Difesa saltasse e si puntasse, dopo quello già bruciato di Giuliano Amato, su un terzo nome, cioè il suo. Finì come tutti sanno e cioè con la rottura tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ma al quarto scrutinio Mattarella divenne presidente e Casini restò con un sogno infranto.
Insomma, i nomi che girano hanno tutti buone ragioni per pretendere di essere il prossimo Capo dello Stato e anche quelli che non ci hanno già provato sono convinti di avere ottime possibilità. Ma al di là delle loro aspettative, una cosa appare chiara: la partita per il futuro presidente della Repubblica è già cominciata. Con largo anticipo sulla scadenza del mandato dell’attuale inquilino del Quirinale, ma con forti intrecci con una situazione politica in movimento. Come abbiamo scritto fin dall’inizio della crisi, il ritorno in primo piano di Renzi ha molto a che fare con le nomine nelle aziende pubbliche e ai vertici delle istituzioni. Ma non ci sono solo l’Eni, l’Enel, le forze armate: c’è anche il presidente della Repubblica da decidere. E tutto dipenderà da chi, nel 2022, cioè prima della scadenza naturale della legislatura, avrà il boccino in mano. Nei Cinque stelle sarà Luigi Di Maio a impostare la scelta oppure toccherà a Giuseppe Conte che ormai lo ha sostituito nel cuore di Beppe Grillo? Al tavolo di chi giocherà la partita del Quirinale ci saranno Nicola Zingaretti o Matteo Renzi? E Silvio Berlusconi, ossia colui che era il capo del vecchio centrodestra, che ruolo avrà questa volta nella scelta dell’uomo del Colle?
Fra tanta incertezza e tanti cardinali che sperano di uscire papi dal Conclave, c’è un dato ormai acquisito. Anche questa volta il presidente degli italiani non sarà scelto dai partiti moderati che rappresentano la maggioranza degli italiani. Come è accaduto più volte negli ultimi 30 anni, a decidere sarà la sinistra, anche se i sondaggi la danno minoranza nel Paese. Ma forse è proprio questa la ragione per cui si è fatto il governo e non si è andati al volo. Restituendo la parola agli elettori c’era il rischio di avere in Parlamento una maggioranza di centrodestra che probabilmente avrebbe eletto un capo dello Stato di centrodestra. E questo, per i compagni, era davvero insopportabile. Un cardinale nero in questo Paese non può certo diventare Papa.
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