Televisione
July 05 2021
«Nel giro di poco tempo mi sono vista due volte al telegiornale. Mi sono detta: oddio, che succede. Ho pure pensato: la terza volta diranno che sono morta. E ho toccato ferro». C'è qualcosa di feroce, come solo certi presagi inconsci sanno essere, nell'ultima intervista concessa da Raffaella Carrà, nel dicembre del 2020 al Corriere della Sera. Riletta oggi, sette mesi dopo, quella battuta che mischiava ironia e scaramanzia, ha un gusto davvero amarissimo. Raffaella Carrà non c'è più, è morta dopo una malattia velocissima e fulminante, vissuta come ha vissuto tutti i passaggi più importanti della sua vita: lontana dai riflettori, proteggendo il suo privato con naturale sacralità, come solo i grandi artisti sanno fare. Era sul palco che Raffaella Maria Roberta Pelloni, nata a Bologna il 18 giugno del 1943 – padre romagnolo, assente e inaffidabile, madre severa e rigorosa, tra le prime divorziate d'Italia – si trasformava in donna carismatica, showgirl nata ballerina classica e diventata icona pop tra le più rivoluzionarie dello spettacolo italiano, conduttrice e autrice capace come pochi altri di surfare sull'onda del successo per più di cinquant'anni.
«Raffaella ci ha lasciati. È andata in un mondo migliore, dove la sua umanità, la sua inconfondibile risata e il suo straordinario talento risplenderanno per sempre». Ha scelto con cura le parole Sergio Japino, suo storico compagno, per annunciare al mondo la morte di Raffaella Carrà, a 78 anni compiuti da pochi giorni. Artista, star, diva ma sempre amica della porta accanto, non è facile sintetizzare la carriera di una Signora che ha fatto tutto e sempre ai massimi livelli. Il colpo di fulmine per lo spettacolo scoppiò grazie a Il musichiere di Mario Riva e fu così che ad appena otto anni si trasferì a Roma e dove studiò danza classica e poi recitazione al Centro sperimentale di cinematografia.
«Da piccola io volevo fare la coreografa. Come Béjart. Era chiaro nella mia testa che volevo diventare un creatore, più che un esecutore», ha raccontato. Esordì al cinema, giro parecchi film senza mai riuscire a fare il grande salto, poi il cambio di cognome, da Pelloni a Carrà, come il pittore Carlo (a suggerirglielo fu il regista Dante Guardamagna) innescò la svolta. E il successo gli esplode tra le mani proprio agli inizi degli anni '70, quando il suo nome si intreccia per sempre con Canzonissima, Corrado, le gemelle Kessler, quel genio di Antonello Falqui e ancora Mina – con cui mise in scena alcuni dei numeri più straordinari della tv in bianco e nero, e non solo - , Milleluci, nostalgia per una tv che non c'è più, avanguardia pura, il talento e la preparazione prima di tutto, lo studio, la voglia di rischiare.
Raffaella Carrà sbanca tutto con il Tuca Tuca, zeppe e ombelico in bella vista. Mentre i dirigenti democristiani della Rai già Eiar facevano di tutto per edulcorare, ammansire, appiattire, persino censurare, la Carrà rompeva i tabù, faceva rumore (titolo di uno dei suoi brani più venduti e conosciuti in tutto il mondo). «Non avrei mai immaginato che il mio ombelico facesse così tanto rumore. Per me è stato naturale vestirmi alla moda di quei tempi che, dall'altra parte, è ancora di moda», raccontò. Eppure si scomodò il Vaticano, che definì il Tuca Tuca «troppo provocatorio», mentre L'Osservatore Romano lo bollò come indecente. «Riuscii a riportarlo in tv solo grazie ad Alberto Sordi, a cui nessuno diceva no», ammise nell'ultima intervista. Il suo segreto? Rompere gli schemi in maniera quasi inconsapevole, così come inconsapevole la sua sensualità, mai eccessiva o pruriginosa. Mentre tutti gli altri pensavano «guardate questa Carrà che brava», lei ballava e cantava Rumore, A far l'amore comincia tu, Fiesta, Tanti auguri («com'è bello far l'amore da Trieste in giù») sfidando ogni moralismo con la faccia di chi diceva: non fate i rompicoglioni, venite a fare casino con me!
S'è c'è un'espressione iper abusata è «icona pop» ma per lei non suonava mai sprecata, anzi. Perché la Carrà non solo non ha mai rincorso le mode (al massimo le lanciava) ma è rimasta fedele soprattutto a sé stessa: non è un caso che il non abbia mai cambiato taglio di capelli, il caschetto biondo che non ha mai tradito - «ero castana e riccia, i capelli erano un complesso. Poi arrivò Vergottini, me li tagliò e me li stirò» -, al massimo solo tagliato o sfilato. Ma il suo stile unico, le giacche con le spalline, la paillettes, le micro tutte, gli abiti iconici disegnati per lei da Luca Sabatelli, persino il guanto di pelle sfoggiato a The Voice: tutto quello che su un'altra donna poteva sembrare stonato, su di lei era perfetto.
Niente era lasciato al caso, dai passi di danza – c'è un numero di 7 minuti e mezzo realizzato con Paolo Poli e Mina, lui in abiti femminili loro divisa militare, che sintetizza al meglio il perfezionismo della Carrà – alle scelte televisive. Tutto resta nell'immaginario collettivo, complici anche i grandi incontri professionali e umani, compresi i programmi televisivi. Basti pensare a Pronto, Raffaella?, con l'intuizione di Gianni Boncompagni di trasformare la Carrà in regina del mezzogiorno televisivo (fascia oraria che all'epoca era spenta) in cui si mescolavano quiz surreali come quello del barattolo pieno di fagioli (alla fine era 10.944) e interviste clamorose e a tratti surreali (la Carrà vestita in abito nero in pizzi e voile che incontra Madre Teresa di Calcutta). Balletti, grandi sigle, Fantastico, il sabato sera di Rai1 con 25 milioni di spettatori, una carriera da record tra programmi cult e lunghe assenze, perché la Carrà non ha mai smaniato per esserci sempre e a tuti i costi. Ma lei c'era comunque: del resto esserci sempre, pur non comprendo in video, è un'abilità che appartiene solo ai grandi artisti.
Il mito della Carrà non solo non tramonta ma conquista il mondo, con Spagna e Sudamerica che la incoronarono diva assoluta – per anni è stata l'italiana più famosa all'estero, complice anche il successo discografico (198 album e 272 singoli pubblicati a livello mondiale). In Italia tenta il passaggio a Mediaset – è la stagione in cui ci provano un po' tutti, da Baudo in giù – con l'inseparabile Sergio Japino, a lungo suo compagno di vita, e assieme a lui sbanca gli ascolti prima con Carramba! Che sorpresa e poi con Carramba! Che fortuna, picchi del 66% di share e ascolti vicini ai 15 milioni, conquistati a colpi di sorprese, ricongiungimenti strappalacrime («dall'Argentina, è quiiiii»), ospiti clamorosi come Maradona e Celentano e un modo unico di interpretare la tv delle lacrime. L'impatto sulla cultura pop e il linguaggio tv è così forte che la Treccani inserisce il neologismo «carrambata» nel dizionario. C'è ancora Japino in regia anche nel 2001, quando conduce il Festival di Sanremo, edizione poco fortunata sul fronte degli ascolti eppure rimasta negli annali tv, e ancora quando conduce Amore, show sulle adozioni a distanza con cui riesce a raccogliere 130 mila adozioni.
Ma la voglia di sperimentare nuovi linguaggi è sempre dietro l'angolo, così accetta di essere una delle giudici della prima edizione di The Voice, il talent show di Rai2: essere contemporanei sempre, osare, saper parlare anche al pubblico più giovane che infatti l'ha amata incondizionatamente, come fosse una di casa, la zia preferita, quella che vuoi di fianco al pranzo di Natale. A Raffa si perdonava tutto, anche esperimenti poco riusciti come il talent Forte Forte Forte, tanto si sapeva che il prossimo colpo le sarebbe riuscito bene. E così è stato, con l'ultimo programma, A raccontare comincia tu, un ciclo di interviste subito diventato un gioiellino tv: a lei dissero di sì tutti, anche i più allergici alle ospitate, da Fiorello a Sophia Loren, da Sorrentino alla Goggi (la loro corsa su una golf car in un campo da golf dell'Argentario, resta un scena cult). Peccato non poterne vedere un'altra stagione, peccato non poterla più vederla creare nuovi progetti. Ma Raffaella resterà per sempre nell'immaginario collettivo: un'icona senza limiti, una donna libera capace di rivoluzionare immagine e sostanza, un'innovatrice senza coraggiosa. Evviva Raffaella Carrà.