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Dopo la miniera: la raffinazione dei minerali in Italia

Uno degli aspetti poco esplorati della bozza del decreto legge in dirittura d’arrivo sulle materie prime critiche di interesse strategico riguarda la localizzazione della fase di downstream dei minerali estratti: tutte quelle operazioni industriali realizzate a valle del processo estrattivo per ottenere i metalli o i prodotti chimici da immettere sul mercato.

L’arricchimento di un mineraleè il complesso delle operazioni a cui viene sottoposto il materiale che viene estratto dalla miniera, il tout-venant, al fine di estrarre il metallo/i economicamente interessante/i dalla massa inerte usualmente definita ganga. Questa prima fase solitamente viene eseguita in prossimità della miniera e consiste nella frantumazione del tout-venant, con mezzi meccanici come i frantoi e molini: si tratta di un processo energivoro con elevati consumi d’acqua.

La fusione è il passo successivo per trattare i concentrati di questi metalli: il prodotto risultante, un composto noto come metallina o con la sua con la definizione inglese di “matte”, deve essere ulteriormente raffinato attraverso dei processi di raffinazione prevalentemente idrometallurgica.

Questa premessa per comprendere come la parte più significativa del trattamento del minerale potrebbe non essere realizzata nel nostro Paese se parallelamente non venisse sviluppata la necessaria infrastruttura industriale.

Sono emerse potenzialità estrattive nella Penisola di metalli come nichel e cobalto in particolare nel Comune di Usseglio in Piemonte o di piombo e zinco, a Gorno in Lombardia o in Sardegna.

La raffinazione del cobalto, un sottoprodotto dell’estrazione del nichel, per ottenere prodotti finiti consiste generalmente in due fasi principali: la fusione per produrre un composto (“matte”) di nichel-cobalto ed il successivo trattamento di raffinazione, idrometallurgico, per produrre cobalto metallico in polveri o sostanze chimiche come solfati da utilizzare nelle batterie per veicoli elettrici.

L'Unione europea contribuisce con meno del 4% alla produzione globale di nichel ma in compenso ne consuma quasi i due quinti. Nichel e cobalto oggi in Europa vengono prodotti solo da Finlandia, Norvegia, Francia e Belgio ma per prodotti chimici come i solfati è necessario andare nel Nord Europa a Harjarvalta in Finlandia. La fonderia Boliden Harjavalta di Boliden AB è probabilmente l'unica fonderia di nichel su larga scala in Europa.

Nello stesso parco industriale di Suurteollisuuspuisto, nel sud-ovest della Finlandia, vicino al porto sul Mar Baltico, si trova la raffineria Harjarvalta di Norilsk Nickel, il colosso russo con sede nella Penisola di Kola, l'unico impianto chimico integrato della regione in grado di produrre solfati “battery grade” cioè adatti alla produzione di batterie.

Altrove in Finlandia, Terrafame sta per mettere in funzione la sua prima produzione di solfato di nichel e cobalto a Sotkamo e la raffineria di cobalto di Umicore nel Parco Industriale di Kokkola sta iniziando a fornire cobalto al nuovo impianto di catodi di Umicore in Polonia.

Probabile, allo stato attuale, possa essere la Finlandia la destinazione dei concentrati di nichel e cobalto eventualmente estratti nel nostro Paese.

Alternativamente, comunque nel Nord Europa, a Kristiansand in Norvegia, si trova Nikkelverk, la raffineria di Glencore, una delle più grandi raffinerie di nichel al mondo, che produce nichel di elevata purezza oltre a rame e cobalto.

Ma a rifornire l'UE di nichel oltre alla Finlandia con 89.000 tonnellate/anno (tpy) ci sono anche Grecia con14.000 tpy e Francia con 5.000 tpy. In realtà l'estrazione e la raffinazione del nichel dei nostri cugini d’Oltralpe avviene in Nuova Caledonia, un territorio francese al largo della costa orientale dell'Australia, dove la situazione è tutt’altro che semplice: i prezzi globali sono scesi di oltre il 45% nel 2023 a circa 19.000 euro per tonnellata, mentre il costo locale di produzione del metallo è stimato a 22.000 euro per tonnellata. Le prospettive di tagli occupazionali, 15.000 persone vivono di nichel in Nuova Caledonia, coniugate ai disordini sociali stanno imponendo alla Francia un piano di salvataggio industriale che prevede anche l’esportazione del minerale concentrato verso l’UE, un mercato più redditizio. Va in questa direzione la proposta di realizzare un impianto di raffinazione del nichel nella Nouvelle-Aquitaine, nella Francia continentale, che sarà costruito dalla società svizzera KL1.

Più incerto il futuro della fonderia greca di nichel Larco, ormai in bancarotta: il Governo greco sta cercando acquirenti disposti a rilevarla mentre fervono le proteste di piazza degli oltre 850 lavoratori a rischio licenziamento.

Un mercato globale quello di nichel e cobalto governato da Pechino che gestisce i prezzi in funzione delle sue strategie di mercato.

L'Europa rappresenta circa il 12% della produzione globale di zinco raffinato, ma la disponibilità di zinco sul continente europeo da un paio d’anni soffre delle conseguenze della crisi energetica.

Tra i metalli disponibili nel nostro Paese troviamo zinco e piombo, a Gorno, dove c’è un potenziale di concentrati fino a 100.000 tonnellate/anno di zinco e 25.000 di piombo nell'arco di 25 anni, e nel Sulcis-Inglesiente con la rivalutazione dei depositi e discariche minerarie.

Proprio in Sardegna è presente una storica struttura industriale collegata all’attività estrattiva-metallurgica sarda, oggi avviata ad una grave desertificazione industriale causata dall’aumento dei costi energetici che ha portato allo spegnimento delle ciminiere ed alla drastica riduzione delle attività.

Pur ribadita in più sedi la strategicità di questi impianti e queste produzioni ancora non si riesce a far decollare i piani di sviluppo. Questo pertanto un ambito focale del “Punto unico nazionale di contatto e termini massimi per il rilascio delle autorizzazioni ai progetti di riciclo e trasformazione” previsto nel decreto sulle materie prime critiche di interesse strategico.

Tuttavia è necessario rendersi conto delle complessità della sfida che ci attende: da un lato le condizioni di mercato in Europa dove i prezzi deboli del metallo coniugati agli alti costi energetici stanno mettendo in difficoltà sia gli impianti estrattivi, come la miniera di zinco di Tara di Boliden, la più grande d'Europa, che le fonderie, come l’olandese Nyrstar, che ha messo in cura e la manutenzione l'impianto di fusione dello zinco di Budel, a Budel-Dorplein, nel sud-est dei Paesi Bassi.

Dall’altro la competizione sarà con strutture moderne ed efficienti come gli impianti di Kokkola e Odda di Boliden o con quelli di Nyrstar di Balen e Pelt in Belgio e Auby in Francia o con quelli di Glencore in Spagna, San Juan de Nieva, una delle più grandi fonderie di zinco del mondo, o in Germania, la fonderia di Nordenham.

E tuttavia, malgrado la complessità del mercato, dei competitor e della domanda, l’estrazione mineraria, con i suoi costi sociali ed ambientali, ha un significato, per il nostro Paese, solo se motore di un processo industriale complessivo che ci consenta di completare il processo produttivo senza condannarci alla subalternità.

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