News
February 02 2017
E' veleno allo stato puro quello che da mesi scorre nelle vene del Movimento 5 Stelle romano e che lo sta intossicando. Lo dimostrano toni e contenuti delle conversazioni chat intercorse tra i protagonisti dell'intera vicenda che da una parte ha messo fuori gioco Marcello De Vito, vittima di un presunto dossieraggio ai suoi danni, e dall'altra ha portato alla scelta di Virginia Raggi come candidata sindaco di Roma. Una vicenda su cui anche la Procura di Roma ha deciso di fare luce.
Ora, che dietro l'investitura a candidata sindaco della Raggi ci fossero stati accordi di un certo tipo si sapeva, era stato scritto e la circostanza in sé non dovrebbe nemmeno suscitare scalpore. Succede in tutti i partiti che si stringano alleanze tra correnti o si decida di far ritirare qualcuno dalla corsa per rafforzare le chance di successo della figura su cui si è deciso di puntare (il “sacrificio” di Daniele Frongia va letto in quest'ottica e non avrebbe assolutamente nulla di strano in sé).
Ciò che colpisce di più è il fatto che il Movimento 5 Stelle, da sempre dichiaratosi diverso dagli altri partiti, li ha invece superati in quanto a spregiudicatezza dei metodi e violenza verbale nella competizione interna tra compagni di squadra.
Per impedire a Marcello De Vito di arrivare al Campidoglio, i suoi tre compagni Virginia Raggi, Daniele Frongia ed Enrico Stefano (tutti consiglieri d'opposizione all'epoca della giunta Marino) non avrebbero infatti esitato a tendergli (un sospetto ancora tutto da verificare ma supportato dalla pubblicazione di una serie di conversazioni) un vero e proprio trappolone.
A rischio di finire nel mirino dell' “ufficio rettifiche” del Campidoglio, non sembra esserci altro modo per definire il piano architettato nei confronti dell'attuale presidente dell'Assemblea capitolina. A distanza di 10 mesi dall'accesso agli atti effettuato nel marzo del 2015 su una questione edilizia (per un sospetta mazzetta dietro un presunto condono) che gli era stata segnalata dall'avvocato Paolo Morricone, impiegato presso il gruppo dei 5Stelle alla Regione, eletto consigliere municipale nel quartiere di Virginia Raggi, dimessosi subito dopo e totalmente estraneo a tutto ciò che è successo in seguito, nel gennaio 2016, a ridosso delle comunarie grilline, De Vito finisce sotto accusa.
Prima in una chat da cui era escluso e poi processato davanti ai big del Movimento per il reato di abuso d'ufficio. Accuse ovviamente infondate e che nemmeno i maggiorenti del partito convocati per discutere del caso hanno voluto prendere sul serio. E che tuttavia hanno contribuito a gettare discredito sulla sua figura al duplice scopo di comprometterne la corsa a candidato sindaco e di indebolire politicamente la sua principale sponsor ossia la deputata romana, nonché fondatrice del Movimento 5 Stelle a Roma, Roberta Lombardi.
"Non dobbiamo dargliela vinta a lui – scriveva nelle chat pubblicate ieri dal quotidiano on line Affari Italiani - l'attuale consigliere capitolino Marco Terranova, fedelissimo della Raggi – ma soprattutto alla Lombardi. Come si evince dal tenore dei messaggi, la considerazione che il cerchio magico dell'attuale sindaco avevano di De Vito e della Lombardi era pari a zero: lui veniva definito dalla compagna di Enrico Stefàno, Veronica Mammì (attuale assessore municipale), “Non in grado di fare il candidato sindaco” e dalla stessa Raggi uno che "non rispetta le regole basilari” del M5S.
Lombardi additata, sempre da Raggi, come una che “deve fare pace con il cervello”. Anche su Morricone venivano avanzate delle insinuazioni: “ragazzi scusate – scriveva ancora Raggi – ma per verificare il sospetto di mazzette all'ufficio condoni fai l'accesso agli atti di un procedimento?! In caso chiami la polizia. A meno che il tizio non fosse amico/cliente di Paolo”.
Raggi, è il dossier contro De Vito a legarla a Marra?
Un quadro deprimente, soprattutto agli occhi dei sostenitori ed elettori del M5S, in cui ancora resta da chiarire che ruolo abbia avuto, se lo ha avuto, proprio quel Raffaele Marra, già arrestato per corruzione a dicembre, e che Virginia Raggi aveva tanto a cuore al punto non solo di nominarlo vice capo di gabinetto e poi capo del Personale del Comune, ma addirittura di dichiarare che la nomina del fratello Renato a capo del dipartimento Turismo era stata decisa da lei e da lei solamente benché altre conversazioni chat rese note abbiano invece dimostrato che fu proprio Raffaele a sollecitarla.
Ragione per cui i magistrati romani hanno deciso di indagarla per abuso d'ufficio e falso ideologico e di interrogarla, forse già oggi, per sentire la sua versione dei fatti. (LEGGI: I dubbi su Romeo dopo l'avviso per Marra. altre grande per la Raggi?)
“Per Roma non esiste nessun piano B” ha scritto ieri Beppe Grillo sul suo blog ribadendo fiducia e vicinanza alla sindaca. Anche se fosse vero, è impossibile credere che i vertici del Movimento non stiano studiando comunque anche il modo di venir fuori da una situazione che rischia di distruggere il Movimento stesso. Esclusa l'ipotesi del patteggiamento, se Raggi fosse rinviata a giudizio, il nuovo codice etico non permetterebbe in automatico di espellerla (serve almeno una condanna in primo grado). Ma se a decidere in questo senso fosse la rete con un voto online...