Rai e la televisione che non c'è

Da Panorama del 30 Maggio 1996

Voglio una rete in più e la voglio come non si è mai vista. Voglio sedermi la sera in poltrona e avere un pulsante sul telecomando, lo premo e compare una tv senza quiz, senza talk-show con i politici, senza ospiti d' onore, senza telepromozioni e pubblicità e senza gente a saltellare dentro e intorno ai programmi come tarantolati dagli indici di ascolto. Senza madri piangenti, figli in offerta regalo, amori in provetta, familiari sperduti, vallette scosciate, domande idiote, giornalisti improbabili. Dice: ma allora sei un nemico del popolo, un abitante dei salotti, vuoi toglierci lo svago quotidiano soltanto perché è stupido. No, giuro di no: un pulsante solo, uno tra i tanti, gli altri restino pure come sono, non voglio togliere niente a nessuno. Ma una rete diversa la voglio e desidero che a darmela sia la Rai. Perché proprio lei? Perché pago il canone e questo, gentilmente ricordo, può obbligare la Rai a darmela quella tv che non c' è. Qualcuno rammenta le due paroline: servizio pubblico? Dice: ma non dovevamo ridurle le reti, due a Mediaset e due alla Rai invece di tre? Sciocchezze. Bravo Maccanico che lo ha capito: esistono, tra frequenze, satelliti e pay tv, più possibilità di trasmettere di quante ne contempli ogni legge e sentenza finora mai presentata o scritta. Dice: ma non ti basta la Rai che tra poco arriva? Sarà dell'Ulivo e non più del Polo. Sì, grazie, anzi no: tenetevela, fatela.

Bravo pure Violante che avverte: la Rai non può aspettare, sta agonizzando, se non c' è subito la legge facciamo di corsa il consiglio di amministrazione. Però io voglio da quei cinque signori che verranno qualcosa d' altro. Giurano che non puniranno e non lottizzeranno: bene, bravi, ci credo. Ma è il minimo, ci mancherebbe altro, altrimenti gli spariamo addosso come agli altri, anche se saranno nominati all' ombra dell'Ulivo. Potrebbero essere tentati dall'idea di rifare la Rai dei professori: barra al centro, un po' di sinistra e tanti tagli al bilancio. Ce ne scampi, se esiste, il dio dell'etere, errare è umano...

Allora vuoi la Rai federalista? Se vuol dire tante piccole Rai governate e ispirate dalle Regioni, allora dico: orrore, mostruosità, disastro. Il federalismo è come fai la tv, non dove, con chi e per conto di chi la fai. Finirebbe con la sagra dell'uva moltiplicata per venti. Dicono ancora: abbiamo capito, vuoi il sogno della sinistra, la tv pedagogica, quella che insegna al popolo, insomma una rete fatta nel segno del maestro Manzi. Sbagliato, io la sera non voglio tornare a scuola né mandarci nessuno a forza, voglio apprendere ma non ricevere sermoni o dispense.

Quello che voglio è una rete con dentro Arbore e Costanzo, Santoro e la Gialappa's e tanti altri che adesso non so ancora chi siano. Gente che può sperimentare, inventare, provare, creare programmi. Programmi che non fanno concorrenza agli altri basandosi sui numeri dell' Auditel. Ecco, ora è chiaro: vuoi una rete fuori mercato, sei l' inguaribile comunista che disprezza i gusti del popolo. Sbagliato, ancora. Il mercato dice che questo prodotto non c' è e che per questo prodotto c' è domanda. Una rete così non me la chiedono mica gli snob che non si perdono una puntata dell' Annunziata o di Vespa (fermateli per carità, qualcuno li avverta che la campagna elettorale è finita). Me la chiede mentre vado in giro per l' Italia la gente che si diverte, poco, ai quiz. Che si sazia, molto, di calcio. Che si guarda il film e il varietà. Gente che vuole tenersi gli altri pulsanti e guai a chi glieli tocca. Ma che uno, un pulsante solo che accende qualcosa d' altro lo gradirebbe eccome, è una legge di mercato. Capito, finalmente: vuoi la vecchia Raitre. No, non ci siamo: voglio una roba nuova. Sapete chi lavorerebbe in questa rete che non c' è? Tutti e nessuno. Fissi i funzionari e lo staff, ma autori, ideatori, personaggi e interpreti ruotano, girano, vengono da fuori. Arrivano, propongono, fanno: è la tv, mica un ministero o la Rai che c' è già. Fuori la verità: questa rete la vuoi per te, ti piacerebbe andarci a lavorare. Dico la verità: magari! Ma, giuro, mi basterebbe vederla come spettatore, migliorerebbe un po' la qualità della mia vita, scusate se è poco. Perciò la chiedo a Mancino e Violante, a Prodi e Veltroni, al Parlamento e al consiglio di amministrazione e anche a tutti quelli che dicono da anni di avere in testa "Telesogno". Se non è un alibi, si possono anche mettere in gioco, un po' a rischio: il successo non si conta solo in percentuali Auditel e nemmeno soltanto in numero degli zeri sul contratto, alla voce retribuzione. Adesso abbiamo capito davvero: non si farà mai. Rispondo: forse sì e forse no, mio caro popolo. Dipende anche da te perché, stavolta, non solo si dovrebbe ma si potrebbe pure.

TUTTE LE NEWS DI POLITICA

YOU MAY ALSO LIKE