Economia
October 09 2018
Più che le percentuali indicate nella manovra finanziaria gli investitori obbligazionari temono il taglio del rating dell'Italia. E c'è uno stesso filo a legare questi due fatti economico-finanziari, che stanno alla base dell'aumento dello spread oltre i 300 punti base nella prima decade di ottobre e il crollo dei titoli delle banche italiane (che sono pieni di Btp) in Borsa: gli investitori temono sul serio che il paese stia per imboccare una strada senza ritorno.
Quella che porta all'uscita del paese dall'Eurozona e forse anche dalla Ue. L'Italia, in altre parole, da un punto di vista finanziario è salita sulla passerella e sotto c'è un mare pieno di squali: pur restando ancora tra gli emittenti considerati più affidabili (che i tecnici chiamano investment grade) è a due passi dai paesi che hanno una maggiore probabilità di fallire.
Già a inizio settembre, quando si sperava ancora in un Def sotto il segno di Tria, gli esperti Fidelity International, braccio internazionale del fondo americano Fidelity, che gestisce patrimoni per quasi 2.500 miliardi di dollari, ricordavano che comunque esisteva "una non insignificante possibilità di una Italexit o di una ridenominazione" del debito in lire e che ciò rientrava nelle previsioni degli investitori: il rendimento a 3 anni dei Btp un mese fa suggeriva, infatti, che i mercati stimassero "circa il 20% di probabilità di una ridenominazione, con un taglio del 30%". E la situazione dopo il muro contro muro tra Roma e Bruxelles è peggiorata.
Fitch il 31 agosto ha mantenuto il giudizio a tripla B e rivisto l'outlook sul paese a negativo. Il 26 ottobre è atteso il giudizio di S&P (finora ha affibbiato all'Italia una tirpla B) e il 31 ottobre quello più temuto, perché ha già preannunciato un revisione e quindi un taglio, di Moody's (l'Italia ha Baa che corrisponde alla tripla B), che a fine agosto però aveva deciso di rinviare la decisione sul rating proprio in attesa della pubblicazione della nota di aggiornamento del Def.
Ricordiamo che il "rating" è il giudizio attribuito da un'agenzia specializzata alle capacità di una società o di uno Stato di pagare i propri debiti, misurando la solvibilità dei titoli obbligazionari emessi, mentre l'outlook indica le stime di crescita per il paese oggetto di valutazione (può essere positivo, negativo o stabile). La tripla B di Fitch, ad esempio, significa: paese con "adeguate capacità di rispettare gli obblighi finanziari. Tuttavia, condizioni economiche avverse o cambiamenti delle circostanze sono più facilmente associabili ad una minore capacità di adempiere agli obblighi finanziari assunti".
Cosa potrebbe accadere dunque dopo che si saranno espresse S&P e Moody's? Una doppia bocciatura, ormai, appare scontata alla maggior parte degli investitori, anche se di un solo "notch". Significa mettere un segno all'attuale voto (BBB- e Baa2). Se dovesse succedere, il nostro paese si ritroverebbe proprio sulla soglia dei junk bond e lo spread con i titoli di stato dell'Eurozona considerati più affidabili aumenterebbe ancora dagli attuali livelli, perché gli investitori sarebbero disposti a comprare titoli italiani solo a fronte di un rendimento ancora più alto. Inoltre, da ottobre l'ombrello della Bce si è ristretto, perché sono stati ridotti ulteriormente gli acquisti mensili di titoli di stato dell'area euro in vista di uno stop a inizio 2019 (fine del QE).
Tutto ciò significa anche una maggiore spesa per interessi nei prossimi mesi e anni per lo Stato e, quindi, meno soldi da destinare a infrastrutture, sanità, pensioni e promesse elettorali (come il reddito di cittadinanza). In questo contesto, il Btp insomma sarebbe considerato un "quasi junk bond" dagli investitori stabili e di lungo periodo, come i fondi pensione, i fondi comuni e le assicurazioni, che seguono politiche di investimento che diversificano il più possibile il portafoglio e mettono un tetto massimo ai titoli più rischiosi.
Ancor più grave, infine, sarebbe la perdita della tripla B (Baa per Moody's) che provocherebbe l'automatica esclusione dei Btp dai più importanti indici obbligazionari mondiali, scatenando la liquidazione "forzata" dei titoli di Stato italiani da parte di molti investitori esteri, inclusa la stessa Bce, come è accaduto già a Grecia e Cipro. Facile immaginare che, in quest'ultimo caso, lo spread coi Bund schizerebbe alle stelle, ai livelli dei titoli di Atene e forse oltre. E a un passo, in questo caso, ci sarebbe sul serio il default del paese.