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December 10 2019
La cultura può fare miracoli? Il sapere è in grado di indicare la direzione che porta alla retta via? La conoscenza è un volano di trasformazione? Interrogativi a cui nessun è mai sfuggito nel corso della vita. Senza tuttavia riuscire a rispondere con parole in grado di sciogliere il minimo dubbio. Ma c’è un luogo dove, in modo del tutto particolare, simili domande possono trovare quasi immediate risposte. Questo luogo è il carcere, parola bruttissima che evoca strutture di espiazioni di ieri e di oggi, a volte senza speranze, ambiti dove chi sbaglia – specialmente nell’immaginario collettivo degli anni passati – è condannato a pagare il suo debito con la giustizia dentro quattro mura, trattato come un corpo estraneo dalla società cosiddetta civile.
Eppure, questi posti di detenzione possono diventare luoghi di riscatto, di cambiamento, di trasformazione personale per chi, per cause più disparate (uno sbaglio, un momento di debolezza, un periodo di crisi...), dopo un regolare processo vi è costretto a trascorrere periodi più o meno lunghi. Una prova in tal senso la può fornire il libro da me scritto, intitolato non a caso «Parole di vita nuova». Dedicato ai lavori intellettuali (tesi di laurea, poesie, racconti, disegni) di 13 detenuti, è stato presentato a Roma, nella Sala Nassiriya al Senato il 10 dicembre. Il testo – introdotto dalla prefazione di don Luigi Ciotti, presidente di Libero e fondatore del Gruppo Abele – è stato pubblicato da Marcianum Press. La casa editrice appartiene al gruppo Edizioni Studium, fondato il 19 giugno 1927 dal giovanissimo monsignore Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI.
«Parole di vita nuova» è frutto di queste radici montiniane, alle quali idealmente con forza e passione sono stati «ancorati» 13 autori molto particolari, essendo persone ospitate forzatamente in altrettanti istituti di pena distribuiti in varie carceri italiane. Uomini come tanti, italiani e stranieri, che hanno avuto l’intelligenza di trasformare il loro periodo detentivo in momenti di evoluzione e di crescita, ma soprattutto di cambiamento, attraverso la cultura e lo studio, conseguendo titoli accademici, riconoscimenti e attestati.
Un bagaglio intellettuale portato alla luce grazie alla loro costanza, unitamente alla sensibilità dei direttori responsabili dei vari istituti e a quanti li hanno affiancati nei loro studi: docenti, volontari, assistenti sociali... I 13 elaborati realizzati dai detenuti hanno partecipato al premio «Sulle ali della libertà», indetto dall’associazione «L’Isola Solidale». Dei 13 partecipanti, uno solo ha vinto, Francesco Argentieri, con la tesi di laurea in Sociologia «La sfera pubblica: il carcere come progetto sociale». Tutti gli altri 12 lavori sono risultati secondi a pari merito, anche se parlare di classifica in questo caso è riduttivo, perché tutti idealmente hanno vinto, come attesta la Medaglia con cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto insignire il premio. Uno dei lavori più interessanti è quello realizzato da Gennaro Barnoffi, un detenuto che si è laureato in Sociologia con una tesi sulla Società Sportiva Calcio Napoli. Ecco che cosa ha scoperto Gennaro Barnoffi sulla squadra del suo cuore.
Calcio, ma non solo. È la chiave di lettura della tesi di laurea in Sociologia di Gennaro Barnoffi dedicata alla storia del Napoli, la squadra di calcio della città dove è nato il 29 settembre 1972. Detenuto della Casa circondariale di Rossano (Cosenza), Gennaro Barnoffi si è laureato, matricola 141043, all’Università della Calabria, con la tesi “Una squadra, una città: breve storia della Società Sportiva Calcio Napoli”, guidato dalla professoressa Tiziana Noce, docente tutor e relatrice, arricchendo la sua ricerca con un'interessante storia della nascita della disciplina calcistica con un respiro rievocativo nazionale e internazionale.
Lunga e travagliata è stata, comunque, la strada che ha portato Barnoffi a laurearsi in sociologia, e a intraprendere corsi per una seconda laurea in Scienze politiche, dopo aver conseguito tutti i precedenti titoli di studio sempre in carcere, a partire dalla licenza elementare. «Il detenuto» scrive la dottoressa Caterina Maletta, funzionario G.P. del carcere di Rossano, «allocato nel circuito "Alta Sicurezza", ha fatto ingresso in questo istituto il 29 dicembre 2004, proveniente dal Carcere Circondariale Secondigliano di Napoli. In posizione giuridica di definitivo (condanna emessa dopo tutti i gradi di giudizio, ndr), sconta l'attuale detenzione in esecuzione a diverse sentenze di condanna per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso in omicidio, violazione della Legge sulla detenzione delle armi ed altro; la scadenza attuale della pena è fissata al 25 dicembre 2113, avendo egli beneficiato di complessivi 1800 giorni di liberazione anticipata e dell'indulto...». I primi tempi trascorsi in carcere sono stati turbolenti. «Anni» continua Maletta, «segnati da cattiva voglia di adeguarsi alle regole e di assumere atteggiamenti comportamentali più in linea col vivere civile. Tutto cambia con l'incontro con lo studio e la cultura, che Barnoffi intraprende in carcere da analfabeta totaleı.
Ma ecco come il diretto interessato lo racconta nella lettera inviata all'associazione «L'Isola Solidale» per partecipare al premio «Sulle Ali della Libertà»: «Egregi signori... ho deciso di partecipare al vostro Concorso non tanto per vincere il premio, ma per mettere in evidenza quanto è importante la cultura. Sono nato in un quartiere degradato di Napoli, dove la maggior parte delle persone sono abbandonate a sé stesse, vivendo a stretto contatto con una linea che demarca l'illegalità e dove, quindi, è facile trovarsi su una strada sbagliata come successe a me, che, oltre ad essere analfabeta non sapevo di essere dislessico, infatti ciò mi ha fatto trovare in carcere fin dalla giovane età. In carcere sono stato "fortunato", può suonare strano per molte persone questo aggettivo, ma è proprio così perchè ho incontrato nel sistema (carcerario, ndr) un'area Educativa che autorizzava dei volontari a invogliare e aiutare i detenuti, e a dar modo a loro di approcciarsi alla cultura. Grazie a ciò posso dirvi che ho titoli di studio che vanno dalle elementari fino alla laurea in Sociologia. Passando per una ampia serie di attività di volontariato che lo hanno portato ad intraprendere programmi di recitazioni, corsi teatrali, lezioni artistiche, corsi di formazione permanenti, attività lavorative”.
La laurea in Sociologia ufficializza il riscatto sociale di Gennaro Barnoffi. Ed è significativo che la tesi inizi con una dedica («A mio padre e a mia madre») e con le citazioni di due tra i più importanti intellettuali del nostro tempo: «Un sociologo è colui che va alla partita di calcio per guardare gli spettatori» di Gesualdo Bufalino e «Ogni volta che un ragazzo prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio» di Jorge Luis Borges.
«Ho deciso di affrontare la stesura della mia tesi per due motivi» si legge nell'introduzione. «Un primo motivo è legato all’esperienza di studio che sta cambiando la mia vita e che mi ha consentito di capire che spesso lo sport può aiutare a veicolare valori positivi come il senso della legalità e l’annullamento delle disuguaglianze sociali (…) Il secondo motivo è dato dal fatto che vorrei approfondire uno degli aspetti positivi di Napoli, la mia città, riscattandola dalle tante caratterizzazioni negative che spesso le vengono attribuite».
Il calcio nasce e si sviluppa in Gran Bretagna, scrive Barnoffi, nella seconda metà dell’Ottocento. Il nuovo sport in breve tempo si diffonde in quasi tutta Europa. Con la Seconda rivoluzione industriale e con lo sviluppo della nuova tecnologia si aprono nuove frontiere a livello commerciale e comunicativo. In Italia, nei porti commerciali di Genova, Palermo, Messina, Livorno e Napoli, molto frequentati dagli inglesi per la presenza delle ditte di import-export e degli uffici delle linee di navigazione e dei grandi magazzini. La presenza delle navi garantisce un contatto non solo commerciale, ma anche culturale con i Paesi europei dove il gioco del calcio è già comparso. In poco tempo anche in Italia si afferma una certa «moda di Londra», prosegue Barnoffi, con gruppi di marinai e scaricatori di porto che si divertono a rincorrersi, tirando calci a un pallone.
La prima squadra di calcio italiana è il Genoa, fondata nel 1893 negli uffici del Consolato inglese. Al Genoa calcio viene dato un nome inglese: «Genoa Cricket and Atletic Club». Un nome inglese viene scelto anche da altre squadre che nascono in quel periodo, caratterizzato da forte mutamento sociale e culturale. La Federazione Italiana Football nasce a Torino nel 1896 e dal 1909 si chiama Federazione Italiana Giuoco Calcio. Da allora in Italia il football prende il nome italiano di «calcio».
A Napoli il gioco del calcio comincia quando i marinai delle navi britanniche ingaggiano ardenti partite sul molo e trova un ambiente abbastanza favorevole. Nel 1904 nasce il «Naples Cricket and Football Club», su iniziativa di appassionati calciatori, tra cui Carlo e Nino Bruschini, e di un funzionario della Cunard Linia, Jemes Pottes. Per i napoletani il calcio non è un amore a prima vista: inizialmente le partite si svolgono solo nei circoli privati, a cui possono accedere solo i soci. Ma è il primo presidente della società, l’ingegner Amedeo Salsi Amedeo Salsi, ad aprire il gioco alla città. Inizia così la lunga maratona calcistica napoletana, ricostruita da Gennaro Barnoffi nella sua tesi, culminata con i due scudetti patrocinati dall'avvento di Diego Armando Maradona. Per non parlare delle prestazioni di calciatori che hanno conquistato un posto nella storia sportiva oltre i confini napoletani, da Omar Sivori a José Altafini.