Regno Unito, elezioni politiche 2017: la guida completa

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27 febbraio 2017. Un carro allegorico raffigurante la Premier britannica Theresa May che di punta una pistola alla bocca su cui si legge "brexit" sfila lungo le strade di Düsseldorf, durante la tradizionale parata del "Lunedì rosa".
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Un battello sul tamigi fa propaganda a favore della Brexit 20-06-2016
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Londra: la bandiera inglese e sullo sfondo il Big Ben
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Theresa May, primo ministro britannico, durante il discorso sull'Hard Brexit, Londra, 17 gennaio 2017
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28 giugno 2016. Il leader dell'Independence Party britannico (UKIP), Nigel Farage, parla con il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, alla vigilia del dibattito sulla Brexit nella sessione plenaria straordinaria del Parlamento europeo a Bruxelles.
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Oxford Street a Loondra.
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Il leader laburista Jeremy Corbyn
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Brexit 2016: la Gran Bretagna ha votato per l'uscita dall'Ue
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Alcune persone posano mentre si baciano con le bandiere della Ue e della Gran Bretagna a favore del restare in Europa - 21 giugno 2016
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Anche la Brexit ad Ascot
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Una sostenitrice dell’uscita dall’Unione

La premier inglese Theresa May ha annunciato, a sorpresa, elezioni anticipate per il prossimo 8 Giugno. È la terza volta in tre anni che gli inglesi saranno chiamati alle urne dopo le elezioni del 2015 e il referendum sulla Brexit del 2016. 

Il Parlamento inglese ha già approvato la mozione per il suo scioglimento anticipato con il voto favorevole anche dei Labour.


Mentre il dialogo con l’Europa sulla Brexit è nel pieno, la May ha deciso di sfruttare le urne facendo un all in non senza rischi per superare le forti divisioni interne che caratterizzano il partito conservatore e accrescerne così forza e popolarità, garantendo così al proprio governo una maggiore stabilità - e quindi di serenità - nelle trattative con l'Ue e nei processi di approvazione degli interventi legislativi che si renderanno necessari a garantire l'uscita dall'Europa in tempi ragionevoli.

I candidati
Alla May, leader del partito Conservatore, si contrapporrà Jeremy Corbyn, a capo dei laburisti, dopo una serie di cambi al vertice a seguito della sconfitta elettorale del 2015. Le ultime elezioni generali sono costate la testa di tutti i leader dei partiti sconfitti: si sono infatti dimessi Nigel Farage di Ukip e Nick Clegg dei Liberal Democratici.

Il Primo Ministro uscente è il favorito per la vittoria (anche se, al momento, in modo meno schiacciante di quanto aveva preventivato all'inizio della campagna elettorale) e dovrebbe riuscire a rafforzare la maggioranza.

I sondaggi
Secondo un sondaggio YouGov pubblicato dal conservatore Times di Rupert Murdoch, a sorpresa i Tory, a 8 giorni dal voto, non solo perderebbero le elezioni ma otterrebbero ben 20 seggi in meno rispetto ai 330 su 650 conquistati nel 2015 con David Cameron. Con 310 deputati ne mancherebbero ben 16 per raggiungere la soglia della maggioranza a quota 326.

Non solo. I laburisti del tanto vituperato Jeremy Corbyn , raggiungendo quota 257 rispetto agli attuali 229. Terzo lo Scottish National Party del first minister Nicola Sturgeon che perderebbe 4 deputati, arrivando a 50.

Invariato il risultato dei Nord-irlandesi a 18 deputati. Infinitesimale risalita dei liberal-democratici (una volta alleati dal 2010 al 2015 con i conservatori di Cameron) che otterrebbero un seggio in più arrivando a 10.

Lo scenario da incubo sarebbe quello di un Parlamento appeso, senza una chiara maggioranza, che costringerebbe May ad un governo di coalizione. Ma con chi? Cameron nel 2010 poteva contare sui 57 deputati lib-dem di Nick Clegg da aggiungere ai suoi 306. Oggi questa "fusione" non porterebbe a nulla.

May potrebbe - a costo per lei politicamente impossibile - chiedere aiuto agli scozzesi che pretenderebbero un secondo referendum sull'indipendenza.

Non meno complicata la situazione di Corbyn che oltre ad una vendetta personale, per chi lo vedeva troppo a sinistra e politicamente suicida, difficilmente arriverebbe con le sue stazzonate giacchette di tweed a Downing Street con al seguito una "armata Brancaleone" difficilmente al momento ipotizzabile. Sempre salvo sorprese dell'ultimo secondo. Se si pensa che solo un mese fa tutti i sondaggi davano i conservatori avanti di 20 punti sui laburisti.

Aldilà della rilevazione "estrema", dopo la sospensione per i fatti di Manchester, i sondaggisti sono tornati al lavoro e le ultime rilevazioni danno comunque i labour in continua rimonta sui conservatori, tanto che il vantaggio della May sarebbe ora contenuto in soli sei punti.

Il sistema elettorale britannico
Il Regno Unito è una monarchia che si regge su una democrazia parlamentare sui generis e de facto, poiché non esiste una costituzione scritta e solo il Bill of Rights del 1689 stabilisce la sovranità parlamentare sul monarca. In teoria, il sovrano può nominare Primo ministro qualsiasi cittadino britannico, anche se - per convenzione - a essere nominato è sempre il leader del partito che vince le elezioni.

Il Parlamento è composto da due rami, una Camera dei Lord formata da membri per diritto ereditario e membri nominati e svolge una funzione di emendamento e veto sulle leggi approvate dall'altro ramo e, appunto, la Camera dei Comuni.

Quest'ultima si compone di 646 membri, uno per ciascuno dei collegi elettorali in cui è diviso il Regno Unito, tra Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Ogni collegio elegge un deputato, con un voto maggioritario uninominale detto anche first-past-the-post e a turno unico. Si rinnova ogni 5 anni, anche se spesso il premier chiede al sovrano di indire nuove elezioni alla fine del quarto anno.

Hanno diritto di voto tutti i cittadini del Regno Unito, del Commonwealth e della Repubblica d'Irlanda che hanno compiuto 18 anni, che risiedono in Gran Bretagna e Nord Irlanda e che sono iscritti nel registro elettorale. Per tradizione, i membri della famiglia reale non votano anche se ne avrebbero diritto.

Il primo ministro viene nominato direttamente dal Re e non è previsto un voto di fiducia nei suoi confronti, bensì al programma del governo già insediato. Nonostante il sistema preveda il voto di sfiducia, generalmente basta che la Camera dei Comuni respinga una proposta importante del governo per portare il primo ministro alle dimissioni.




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