Economia
June 28 2018
“Sicuramente l’Europa dovrebbe essere più coesa di fronte al problema dell’immigrazione e non lasciare l’Italia da sola” sostiene il professor Giovanni Peri dell’Università della California. “Ma l’Italia dovrebbe fare un esame di coscienza e chiedersi perché non affronta il tema dei migranti con un approccio diverso, cercando di pianificare la gestione di questo fenomeno. Siamo capaci di organizzare eventi grandiosi come le Olimpiadi o il Giubileo lavorandoci per anni e poi non prestiamo la stessa attenzione all’arrivo dei profughi e degli immigrati che pure si ripete ogni anno. Si potrebbe anche cercare di coinvolgere gli stranieri che vivono in Italia nell’accoglienza degli immigrati. Mi sorprende sempre quando arrivo negli Stati Uniti incontrare all’aeroporto funzionari e agenti asiatici, europei o sudamericani che dimostrano come ci si possa integrare in quel Paese. L’immigrazione è un’opportunità, non è solo un problema. Ma va gestita”.
Peri è l'economista italiano più citato in questi mesi dai giornali americani, dal New York Times a Forbes, dal Washington Post a Tech Crunch.
La ragione? Il professore ha realizzato vari studi che dimostrano i vantaggi dell'immigrazione per l'economia, purché governata. Un tema molto caldo negli Usa per i problemi il Paese che sta vivendo sul confine messicano. “Mi occupo da una quindicina d’anni degli effetti economici dell’immigrazione” spiega Peri. “Ho scritto numerosi articoli su questo argomento, sia parlando degli Stati Uniti, sia studiando i casi dell’Italia, della Germania, del Regno Unito, della Spagna”.
Appassionato di scienze sociali, fin da giovane si è interessato ai temi delle migrazioni. Ha studiato alla Bocconi di Milano e poi ha ottenuto un dottorato a Berkeley. Da 18 anni vive in California dove ha anche trovato moglie e messo su famiglia. Ora, a 48 anni, è direttore del dipartimento di economia all’Università di California sede di Davis, vicino a Sacramento.
“Quello che mi colpisce dell’Europa e in particolare dell’Italia” esordisce Peri “è che di immigrazione si parla solo quando c’è un’emergenza. Eppure è un tema che andrebbe affrontato con calma: la popolazione in Italia si sta riducendo e ci sarebbe posto per accogliere degli immigrati con alto livello di istruzione. Ci sarebbe dunque bisogno di una vera politica di immigrazione che attiri stranieri per coprire le posizioni che mancano nel Paese e per bilanciare l’afflusso di immigrati con bassa istruzione. Una politica che renda più facile per uno straniero venire a studiare nelle vostre università e diventare scienziato, ingegnere o medico. Negli Usa ogni anno arrivano in media cinquecentomila stranieri con visti per studio e quasi la metà resta in America. Questo tra l’altro avrebbe un altro effetto positivo in Italia, perché contribuirebbe a creare una diversa immagine dell’immigrato: se si incontrano nigeriani, filippini o rumeni in posizioni impiegatizie o tecniche o anche nel campo medico, questo cambia anche l’atteggiamento mentale delle persone nei confronti degli immigrati”.
“Nella situazione di crisi attuale, l’Italia dovrebbe smettere di dire sempre e solo ‘no’ a nuovi ingressi ma dovrebbe fare un discorso di questo tipo: noi quest’anno possiamo accogliere 15-20 mila immigrati. Facciamoli venire direttamente dal loro Paese, scegliendoli in base alle loro competenze e professionalità e ai bisogni della nostra economia. Andare a negoziare con gli altri Paesi europei mostrando la disponibilità a gestire in modo pianificato l’ immigrazione sarebbe sicuramente più costruttivo e renderebbe più facile ottenere l’aiuto per affrontare l’arrivo dei barconi irregolari”.
Secondo Peri, l’Italia dovrebbe dunque iniziare a pianificare. Studiare l’evoluzione demografica ed economica del Paese e individuare quali sono i lavori che saranno più richiesti in futuro. “Se l’Italia negli anni passati ha saputo attirare dall’Europa dell’est solo immigrati a bassa istruzione è perché l’economia del Paese non è cresciuta abbastanza e non ha creato posizioni di alto livello. L’immigrazione di un Paese è un po’ lo specchio della sua economia”.
Attualmente il lavoro svolto da Peri è diventato negli Usa un punto di riferimento nella discussione sui benefici che ha portato l’immigrazione all’economia americana negli ultimi decenni. “Uno degli ingredienti che ha reso positivo l’effetto dell’immigrazione degli Usa è il suo mix molto variegato, la presenza cioè sia di immigrati a bassa istruzione sia di immigrati con titoli di studio di alto livello. Inoltre gli Stati Uniti hanno un mercato del lavoro flessibile che ha potuto assorbire con relativa facilità questo continuo flusso di immigrati. Perfino gli immigrati illegali, che negli usa sono tantissimi, hanno contribuito con il loro lavoro a creare ricchezza”.
Peri sostiene che in media ogni immigrato aumenta il Pil dell’equivalente del reddito medio di un lavoratore americano. “Negli Usa gli immigrati sono circa il 17 per cento della forza lavoro” chiarisce l’economista “e contribuiscono per il 17 per cento al prodotto interno lordo”.
In altre parole, senza gli immigrati il Pil americano sarebbe dell 17 per cento inferiore rispetto ai livelli attuali. Ma questo ingrandimento del Pil avviene a scapito dei redditi di alcuni lavoratori nativi, perché magari c’è più competizione sui salari?
“No, il mio lavoro dimostra che l’immigrazione considerata come un aggregato, non ha effetti negativi sui salari. Gli immigrati, sia quelli di alto livello, sia quelli a bassa scolarità, generano nuovi posti di lavoro, consentono alle imprese di crescere e all’economia di espandersi. E i loro consumi creano ricchezza. Un caso particolarmente interessante è rappresentato dagli immigrati irregolari, dove la quota di chi lavora è addirittura superiore alla media: il 70% circa degli irregolari ha infatti un’occupazione, per quanto senza tutele, contro il 50% scarso degli americani a bassa scolarità. Il perché è subito spiegato: gli irregolari in quanto ‘invisibili’ non hanno accesso agli strumenti di welfare previsti per i cittadini americani a basso reddito e sono quindi fortemente incentivati a lavorare per avere un reddito. E così c’è una quota di popolazione americana che contribuisce con i suoi consumi al reddito nazionale costando molto poco allo Stato”.
Un altro aspetto interessante dell’immigrazione negli Usa è che i nuovi arrivati, sia con buona istruzione sia con bassa istruzione, si sono specializzati in lavori che gli americani non fanno più e questo riduce la competizione con la popolazione nativa: “Nei livelli bassi gli immigrati fanno lavori manuali nell’agricoltura, nelle costruzioni, nei servizi personali e domestici, nel giardinaggio. Occupazioni che gli americani hanno abbandonato negli ultimi vent’anni. E l’arrivo degli immigrati ha permesso a questi settori di crescere e svilupparsi. Nella fascia alta, invece, gli immigrati sono soprattutto scienziati, matematici, ingegneri, esperti di alta tecnologia: cervelli che gli Stati Uniti sono stati capaci di attrarre da tutto il mondo per alimentare l’industria hi-tech del Paese. Gli americani, invece, si concentrano sui settori del management, delle risorse umane, delle comunicazioni, dei servizi legali...”.
Facendo un paragone con l’Europa e con l’Italia, Peri sottolinea la scarsa varietà di immigrati che arrivano nel nostro Paese e nel sud del continente: la maggioranza è a basso livello di istruzione e questo limita la capacità dell’immigrazione di creare ricchezza. Inoltre la rigidità del mercato del lavoro e la protezione sindacale rende molto difficile per un immigrato, che sia o non sia in regola con i documenti, trovare un’occupazione e un reddito.
“La Germania e la Danimarca, per fare due esempi positivi, hanno reso molto più flessibili i rispettivi mercati del lavoro e hanno così potuto assorbire più facilmente gli immigrati, sia di basso sia di alto livello. In Italia invece molti immigrati arrivano e sono costretti a stare ai margini, rappresentando un costo per lo Stato e non dando alcun beneficio all’economia”.