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July 07 2017
È abbastanza chiaro per chiunque si soffermi a leggere gli editoriali di Panorama che nei confronti di Matteo Renzi non è mai arrivato il tempo dei saldi della critica. Confermo che, a giudicare dalle ultime piroette, quel tempo non è visibile all’orizzonte.
Ha sbagliato e continua a sbagliare approccio alle questioni del Paese, mentre la già nutrita schiera dei grilli parlanti che gli consigliano umiltà si infoltisce di giorno in giorno ma senza sortire effetti ragguardevoli. Nell’attesa, auspicabilmente non vana di un ravvedimento, vale la pena spostare la visuale su chi sta intorno all’ex premier. Non mi riferisco al "giglio magico" che sarà la vera rovina del giovane di Rignano ma ai compagni (absit iniuria verbis) di partito.
Alcuni lo hanno mollato per nobilissime ragioni di principio e, onestamente, va riconosciuto a persone come Roberto Speranza di aver preferito la strada della coerenza a quella della convenienza. Quello dei bersaniani è un gruppo di vecchi e giovani militanti che si rivede nel Dante al quale viene profetizzato il destino di esule da Cacciaguida, non a caso collocato dal Poeta tra gli spiriti combattenti: sentiranno "sì come sa di sale lo pane altrui", certamente, ma son convinti che anche per loro arriverà il tempo del riscatto.
Ci sono poi i compagni rimasti nel partito, quelli che nel tempo si sono distinti nel posizionamento dietro al vincitore di turno: sono i novelli renziani lesti a salire sul carro del fu rottamatore, un’immagine smarrita nella memoria di quando il segretario era un’icona dell’antipolitica. E sono gli stessi che oggi compiono, più o meno quotidianamente, l’esercizio del "distinguo" con interviste o retroscena sussurrati ai giornali.
Marcano la distanza dall’ex premier dopo aver annusato aria di ridimensionamento. La batosta alle ultime elezioni amministrative li ha convinti, chi timidamente e chi con un po’ di coraggio, a uscire allo scoperto per contestare la linea del segretario. Il dibattito rasenta la sterilità perché, al fondo, si riduce a una battaglia di posizione tenendosi ben lontano dal nocciolo delle questioni principali: su quali politiche sociali ed economiche, cioè, il renzismo ha fallito e va quindi messo da parte? E quali sono le idee per superarlo?
Ecco, non sprecate fatica perché di tutto ciò non troverete traccia. Da Dario Franceschini ad Andrea Orlando senza dimenticare Romano Prodi, questo gruppo dirigente del partito democratico sembra essere discendente per linea diretta dei reduci di Coblenza. Di quei nobili francesi, cioè, che per sfuggire al terrore della Rivoluzione ripararono nella cittadina tedesca, salvo poi tornare indietro al seguito dei vincitori. Con un piccolo dettaglio: nulla dimenticarono e nulla capirono.