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Renzi, Orlando, Emiliano: che primarie Pd saranno

Con tre candidati alla segreteria, ciascuno dei quali con un profilo politico e caratteriale molto differente, l'esito delle primarie del partito democratico che dovrebbero tenersi  il 9 aprile 2017 appare oggi un po' meno scontato di quello che poteva sembrare soltanto qualche settimana fa.

Non che il governatore pugliese Michele Emiliano o il ministro della Giustizia Andrea Orlando abbiano attualmente grandi possibilità di vincere le primarie, ma è molti probabile che i due sfidanti non si limiteranno, come temevano in molti, a fare da sparring partner dell'ex premier, il vincitore annunciato.

Il rischio per Renzi, se pensa di avere già la vittoria in tasca, è quello non  di perdere la competizione per la segreteria, ma di vedersi consegnato un partito rissoso e spaccato come lo è stato (rissoso e spaccato) dal 2013 a oggi. Con conseguenze difficilmente prevedibili durante la prossima legislatura, quando il Pd - per ragioni numeriche - sarà probabilmente costretto a varare un governo di unità nazionale con il Cavaliere.

LA SOGLIA DEL 40%
Per prevalere veramente dal punto di vista politico, Renzi deve vincere bene ma senza stravincere, evitando di dare la sensazione che Emiliano e Orlando fossero semplicemente - come presumibilmente sosterranno i dirigenti del M5S - «oppositori di Sua Maestà», oppositori di comodo utili soltanto a tenere in piedi la finzione democratica.

La soglia psicologica, secondo i rumors del Pd, è quella del 40%. Se i voti di Orlando ed Emiliano supereranno quella percentuale, Renzi rischierebbe di trovarsi, in vista della prossima legislatura, a governare un partito assai meno unito di quello che si sarebbe augurato, con il conseguente rischio di nuove piccole e grandi diaspore verso le nasciture formazioni di sinistra durante la prossima, delicata legislatura. Egualmente, se nessuno tra Orlando ed Emiliano riuscirà ad ottenere almeno il 20% dei voti, oppure se insieme non supereranno almeno un terzo dei voti delle primarie, l'accusa rivolta ai duellanti di avere giocato il ruolo degli «utili idioti dell'uomo di Rignano» rimbalzerà di forum in forum, di blog in blog, finendo alla lunga per indebolire la segreteria Renzi, molto meno solida in prospettiva di quello che potremmo pensare.  La strettoia, per Renzi, è questa.

PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DEI DUELLANTI
Ma quali sono i punti di forza di Emiliano e Orlando?

Saranno in grado di allargare, come già fece Renzi durante le (due) primarie contro  Bersani, la base elettorale del «popolo delle primarie» fuori dal perimetro degli attivisti di partito? Quale seguito possono vantare in quel pezzo di elettorato largo (quantificato finora tra i due e i tre milioni di votanti) che, in gran parte, non ha in tasca la tessera del Pd? Riusciranno a mobilitare cittadini ed elettori che non frequentano né circoli dem né palazzi politici, dove il consenso verso Renzi supererebbe secondo tutti i sondaggi il 60-65% dei voti?

La vera scommessa delle primarie Pd è proprio qui: quanto sarà grande la partecipazione al voto. Più si allarga la base elettorale a pezzi di cittadinanza non organici al Pd più l'esito per Matteo Renzi appare attualmente imprevedibile. Tutto il contrario di quanto accadde nel 2012, quando fu Renzi - per sbaragliare la vecchia guardia che aveva un ferreo controllo del partito -  a far leva anche sulla partecipazione dell'elettorato moderato, a brandire la bandiera delle primarie aperte a tutti. 

Il sondaggio sulle primarie Pd by cidigi on Scribd

può vantare


MICHELE EMILIANO, IL CANDIDATO PIU' GRILLINO

Michele Emiliano a Bari per Panorama d'ItaliaSilvia Morara

Il governatore ed ex magistrato non ha un grande seguito tra gli iscritti e gli attivisti Pd, salvo (forse) che nella sua Puglia.

È un punto debole, questo, che si può trasformare in un punto di forza qualora riuscisse, come già Renzi nel 2012, a giocare la parte dell'outsider, del «rottamatore», dell'uomo di confine capace di parlare a un pezzo largo dell'elettorato che non si riconosce nel Pd.

Il più «grillino» tra i dirigenti democratici non è nemmeno molto amato dalla sinistra del partito, almeno in quella parte che fa capo a  Cuperlo, né può vantare un seguito  di massa tra quegli elettori ex comunisti un po' in là con gli anni  che semmai  guardano con interesse alle mosse della vecchia guardia scissionista dei Bersani, dei Rossi, dei D'Alema. Né è considerato molto forte dai sondaggisti  in quel mondo eterogeneo della sinistra diffusa e metropolitana che guarda  con più curiosità a esperienze civiche come quella di Pisapia o preferisce optare per l'astensione.

Il punto debole di Emiliano è inoltre il suo scarso appeal al Nord, dove l'epoca dei magistrati prestati alla politica sembra ormai tramontata.

Per vincere o almeno per ottenere il 30% dei consensi, la soglia minima per costruire una vera corrente interna, Emiliano deve sperare di raccogliere più voti possibili al Sud, facendo leva su quegli umori giustizialisti che in questi anni ha sempre dato l'impressione di saper solleticare. Ma la scommessa del governatore è quella di convincere a votare molti elettori trasversali e simpatizzanti grillini - come già fece Renzi con l'ex elettorato berlusconiano. L'unica sua speranza per sfondare la soglia psicologica del 30% è quella di allargare il più possibile la partecipazione alle primarie. 

Secondo un sondaggio Emg, gli elettori Pd gli attribuirebbero il 21% dei voti nelle primarie, contro il 63% di Matteo Renzi. Troppo pochi per non diventare, nel giro di pochi mesi o anni, un'ennesima meteora del pantheon democratico.


MINOLI INTERVISTA EMILIANO


ANDREA ORLANDO, LA POLITICA NON URLATA

Il ministro della giustizia Andrea Orlando ospite di Panorama d'Italia Silvia Morara

Nonostante ricopra il ruolo di ministro della Giustizia dal 2014, Orlando è il meno conosciuto tra tutti e tre gli aspiranti alla segreteria Pd. Schivo, competente, cresciuto a pane e politica sin da giovanissimo nelle fila della Fgci di La Spezia, un territorio tradizionalmente rosso, Orlando non ha il carattere esuberante di Matteo Renzi né quello, trabordante e diretto, di Michele Emiliano. Come Guardasigilli ha sostenuto la necessità di attaccare il patrimonio delle organizzazioni malavitose, senza puntare sempre tutto sulle centralità del carcere: «Per molto tempo si è raccontato che il carcere era la soluzione di tutti i mali: dobbiamo invece virare verso sanzioni di carattere patrimoniale perché un mafioso o un corrotto ha relativamente poco paura di farsi un mese di carcere se si riesce a mettere in tasca qualche milione di euro, ha paura se si minaccia di portargli via i soldi che ha magari anche la casa».

Nonostante la (relativamente) giovane età ha tra i suoi punti di forza la notevole esperienza istituzionale, unita a una capacità di mediazione che non ha nessuno degli altri due sfidanti. Ex Ds, ex responsabile dell'Organizzazione quando il segretario Pd era Walter Veltroni, ex ministro dell'Ambiente tra il 2013 e il 2014 nel governo Letta, Orlando ha saputo attraversare gli ultimi turbolenti anni di vita del Partito democratico, senza finire mai sotto il fuoco incrociato delle correnti ma senza  rinunciare, e sempre con molto understatement, a prendere le distanze dai modi ritenuti talvolta troppo irruenti di  Renzi.

Sarà forse per questo che è il candidato più apprezzato nella sinistra interna del Pd, ma nondimeno è ritenuto un uomo leale dagli uomini dell'ex premier. Il suo programma, un po' liberal e un po' di sinistra, è tutto un programma: «Voglio una politica che non sia prepotente», una mezza frecciata sia a Renzi sia a Emiliano. Tra gli elettori dem, secondo Emg, arriverebbe terzo, dietro Renzi ed Emiliano, con il 10-12% dei voti.

Il suo punto di forza - in un partito dove la storia e le identità continuano ad avere un peso - è il suo profilo molto istituzionale, poco urlato e serioso, un po' vecchio Pci. Il suo problema è che fuori dal perimetro degli attivisti e degli iscritti è poco conosciuto, non ha un grande carisma oratorio, e dovrà fare molta strada. Rischia, perora, di fare la candidatura di bandiera degli scontenti che, per lealtà, non usciranno mai dal partito. 

MINOLI INTERVISTA ORLANDO

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