Ansa
News
Renzi, tra trucchi e realtà

E se fosse tutto un trucco? E se invece non lo fosse? L’accostamento è immediato, la percezione netta. Matteo Renzi è un battitore d’asta, un venditore di cocci. Ma al di là dello show, potrebbe perfino riservare qualche sorpresa di buona svolta, per esempio sul lavoro. Per esempio, sull’inversione della tendenza a aumentare le tasse invece di toccare la spesa pubblica. Lo vedremo. 

Renzi parla dal podio di Palazzo Chigi illustrando la sua prima manovra. A specchio, nella diretta televisiva, appaiono le slide con figurine, disegni e numeri tutti per approssimazione (o approssimativi?). Roba da banchi di scuola e presentazioni in power point. Davanti a me, penso, temo, c’è un imbonitore.

Renzi scandisce annunci uno dopo l’altro, con una sapiente escalation di toni e timbri, cominciando con le misure di cui “non” si è parlato nel Consiglio dei ministri per giungere pian piano, in un dosaggio accurato della suspense, al piatto forte: 10 miliardi di sgravi fiscali per 10 milioni di italiani, pari a 1000 euro netti (centesimo più, centesimo meno) l’anno per chi guadagna fino a 1500 euro al mese. Quasi una tredicesima. E su quell’annuncio l’immagine che lo raffigura è un carrello della spesa con ortaggi e scatolame. Altre figure per bambini: un pesciolino rosso in un vaso, un centometrista ai blocchi di partenza, due imbianchini intenti a riverniciare una facciata… 

Sorride ogni tanto, Renzi, e non so se sorride perché gli piace piacere o perché la prima regola della buona comunicazione (come ha insegnato Silvio Berlusconi) è quella di sorridere sempre, anche quando devi dire cose che sai che non saranno divertenti. E tanto più devi sorridere se sai che quel che dici è un azzardo.

In piccolo, leggo che la copertura del taglio del 10 per cento dell’Irap per le imprese arriverà da un aumento dal 20 al 26 per cento sulle rendite finanziarie. Una tassa per alleviarne un’altra. C’è un mix preoccupante di promesse allo stato puro, di misure che dovranno esser definite da successivi provvedimenti per il momento contenute in una relazione (approvata) del presidente del Consiglio al Cdm, infine di decreti e disegni di legge su aspetti specifici. Miscellanea che ben s’accorda con l’asta renziana (a proposito, c’è pure quella, un’asta su e-bay di 100 auto blu, ma tutti sanno che il grosso del parco auto di palazzo è costituito da auto a nolo e quelle di proprietà sono le più vecchie e scassate).

Eppure. Quando dopo Renzi sento parlare il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, mi sovviene il sospetto che qualcosa possa davvero cambiare in questo paese ingessato, precipitato dalla riforma Fornero nel buio di un mercato del lavoro surreale. Bello, per esempio, il principio che chi riceve dalla comunità, in qualche modo alla comunità debba poi restituire. Una rivoluzione copernicana del principio della pubblica assistenza. Anche i sussidi, gli ammortizzatori, si devono guadagnare. La ricerca del lavoro deve veder complici e collaborativi lo Stato e il disoccupato. Nessuno può più adagiarsi, fare il bamboccione, aspettarsi la manna dal cielo. 

Ma, doccia scozzese, riflettendo anche su ciò che Renzi ha deciso di “non” fare, mi tornano le perplessità. Per esempio, ha scelto di non guardare in faccia il dramma dei non-dipendenti e non-garantiti. Il calvario di partite IVA, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori che si vedono scivolare sotto il naso quei dieci miliardi di cuccagna senza potervi attingere. 

Il dubbio che mi resta è quello che ho provato all’inizio: Renzi salverà l’Italia, ci farà uscire dalla palude, farà ciò che è umanamente possibile per invertire il corso di una storia che ci sta condannando all’irrilevanza e al declino, oppure sta raggirando e ipnotizzando me e tanti come me che gli hanno concesso un credito di fiducia e in qualche mese si risveglieranno dal sogno? 

YOU MAY ALSO LIKE