Economia
August 18 2018
Il governo ha deciso di revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia per il crollo del ponte Morandi di Genova.
Al momento, si tratta soltanto della tratta A10, la Genova-Savona, ma nel mirino è finita l’intera convenzione con la società dei Benetton, firmata dall’Anas nel 2007.
L’annuncio è stato dato dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli attraverso Facebook: sarà necessario verificare se a questo ennesimo proclama irritualmente comunicato attraverso i social network seguiranno atti formali.
Dal punto di vista formale, la revoca della concessione, comunque, è possibile, anche se sicuramente è anche complessa e costosa. Forse per questo altri ministri, a partire dal capo del Viminale, Matteo Salvini, nei giorni scorsi parevano decisamente più favorevoli a una sanzione, una forte penale a carico della società Autostrade.
Revocare le concessioni ad Autostrade per l’Italia della famiglia Benetton, in realtà, non è così facile, anche dopo il disastro del viadotto Morandi, con il suo carico di 38 morti accertati, più cinque dispersi.
In realtà, esistono problemi giuridici, politici e finanziari, che tendenzialmente portano a escludere che l’Italia non possa permettersi una scelta così muscolare e drastica.
In base al contratto, la concessione è revocabile, infatti, ma soltanto se sussistono “gravi motivi”.
Ora, visto quanto è accaduto con il disastro del ponte Morandi, in effetti la posizione di Autostrade per l’Italia si è fatta difficile; ma alcuni tecnici del diritto sostengono che servirebbe comunque una sentenza definitiva di condanna della concessionaria per averne la base giuridica.
Questo, però, è forse il minore degli ostacoli, anche perché il collasso del cavalcavia Morandi è soltanto l’ultimo di una serie di episodi negativi per Autostrade.
L’elenco è lungo: il crollo di un cavalcavia dell’A14, avvenuto l’8 marzo 2017; altrettanto era accaduto ad alcune pensiline di caselli nel 2010; esistono poi denunce pendenti presso varie Procure della Repubblica su altre opere con possibili problemi strutturali; c‘è la sentenza del 10 aprile scorso sulla contraffazione del brevetto del sistema di controllo della velocità Tutor; è in corso il processo di Avellino per la morte di 40 persone, avvenuta il 28 luglio 2013, su un bus precipitato dal viadotto Acqualonga sulla A16.
In quest’ultimo caso, sono coinvolti direttamente i vertici aziendali e la sentenza di primo grado è attesa per dicembre.
Malgrado questo stillicidio di fatti, le incognite giuridiche su una possibile revoca restano comunque numerose.
Il primo ostacolo tecnico e di diritto nasce dal fatto che alla concessionaria privata non è stata finora mossa alcuna “contestazione formale per gravi inadempienze”, come richiesto invece dalla convenzione.
Poi bisognerà vedere come il governo riuscirà a motivare e sostanziare le accuse che muove alla società. Potrà farlo soltanto con il materiale in possesso della sua Struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali, un servizio di controllo incorporato nel 2013 dopo che per decenni la vigilanza era stata affidata all’Anas, che (obiettivamente) non ha mai brillato per efficacia. Anche la Svca, però, non dispone di personale per svolgere pienamente i suoi compiti istituzionali.
Inoltre, è certo che un provvedimento di revoca della concessione verrà impugnato da Autostrade, e si aprirà inevitabilmente un contenzioso legale lungo e combattuto, vista la dimensione miliardaria del business.
In ogni caso, le inadempienze del gestore vanno valutate alla luce delle convenzioni che regolano le concessioni loro affidate, e queste sono in parte coperte da omissis (non per assenza di trasparenza, come sostiene la superficiale vulgata dei social network, ma perché la divulgazione di certe clausole creerebbe ovvi problemi di turbativa dei mercati, visto che Autostrade è quotata).
Poi c’è l’aspetto economico. Ed è l’ostacolo più imponente all’atto “muscolare” da parte del governo.
Si stima che la revoca della concessione, la cui scadenza attualmente è prevista dal contratto nel 2042, costerebbe infatti circa 20 miliardi. Questo perché, in base alla concessione, lo Stato dovrebbe pagare ad Autostrade per l’Italia un “importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del provvedimento di decadenza sino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi oneri, investimenti e imposte nel medesimo periodo”.
La formula, in realtà, è ancora più complessa: la sostanza, comunque, è che l’indennizzo per il “contratto strappato” dal governo dovrebbe essere parametrato sugli utili previsti fino alla fine della concessione.
Considerato che nell’ultimo anno gli utili di Autostrade per l’Italia sono stati pari quasi a un miliardo di euro, per l’esattezza 968 milioni, e che la concessione scade tra 24 anni, l’indennizzo si aggirerebbe, appunto, intorno ai 20 miliardi.
Inoltre, la revoca della concessione probabilmente avrebbe un problema aggiuntivo, non da poco: alcuni tecnici sostengono infatti che in quel caso la società dei Benetton sarebbe automaticamente libera dall’obbligo legale di provvedere a sue spese alla ricostruzione del ponte caduto o alla sua sostituzione con un nuovo manufatto. E il peso dei lavori, paradossalmente, ricadrebbe sullo Stato.