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Riccardo Chiaberge, 1918: la grande epidemia

Riccardo Chiaberge con 1918: la grande epidemia (Utet) accende di nuovo i riflettori su una parte della nostra storia tanto importante quanto ormai dimenticata: la terribile ondata di influenza Spagnola che, tra il 1918 e il 1919, provoca a livello globale tra i 50 e i 100 milioni di morti.

“La guerra è bella anche se fa male” ripeteva il poeta, e forse per questo motivo del 1918 ricordiamo solo questo: gli ultimi aspri mesi del primo conflitto mondiale, l'Europa che finalmente può tirare il fiato, ricostruire sulle sue macerie. E se la guerra, con i suoi 13 milioni di morti, ha segnato in modo inequivocabile la storia del '900, un altro artefice, più silenzioso e meno romantico, sembra aver contribuito con le sue mosse al nuovo assetto della scacchiera mondiale. 


Chiaberge, raccontando le vite dei contagiati più celebri, alcuni sopravvissuti e altri sconfitti dal morbo, vuole dunque insinuare una domanda: e se la Spagnola avesse ridisegnato la storia del XX secolo tanto quanto la guerra?

Una conferenza febbricitante
Siamo nei primi mesi del 1919 e in terra di Francia l'atmosfera è incandescente: Wilson, Clemenceau, Lloyd George e Orlando stanno delineando – con fatica e battute al vetriolo – gli equilibri della nuova Europa. Woodrow Wilson, il presidente degli Stati Uniti, da parte sua, è stato lapidario: impedirà in ogni modo l'umiliazione della Germania, che porterebbe inevitabilmente a un'altra guerra. Eppure qualcosa cambia, precisamente il 3 aprile, quando Wilson lascia l'assemblea in preda a un fortissimo malessere: è la Spagnola, ma secondo la versione ufficiale solo “un raffreddore”.

Wilson è distrutto dalla malattia, per brevi momenti si riprende ma è fuori di sé: vede spie francesi ovunque, nasconde i documenti, pretende che le tappezzerie vengano cambiate perché i colori non si abbinano tra loro.

Quando torna al tavolo delle trattative, Wilson è cambiato: più debole, fisicamente e psichicamente, opta per una frettolosa risoluzione e accetta tutte le clausole contro la Germania, dalle responsabilità belliche alle riparazioni dei danni di guerra. Dopo il germe della Spagnola, in Europa, si diffonde il germe del malcontento tedesco.

Cos'hanno in comune il delfino di Lenin e una star di Hollywood?
La risposta è una sola: l'influenza Spagnola. Sverdlov è il braccio destro di Lenin, devoto alla causa bolscevica è lui ad aver scritto la prima costituzione della Russia rivoluzionaria e ad aver apposto la firma all'ordine di fucilazione dei Romanov. Con Stalin, incontrato nelle carceri zariste siberiane, Sverdlov ha un cattivo rapporto: non sopporta la sua prepotenza e si contende con lui l'amore di un'attrice. I rapporti tra i due resteranno freddi come l'aria di Siberia anche fuori dai campi di lavoro.

Quando Sverdlov muore di Spagnola, nel '19, lascia un vuoto di potere, impedendoci di scoprire se avrebbe avuto la meglio nella corsa al trono o se Stalin avrebbe dato anche a lui il benservito. La vita di Mary Pickford, invece, è agli antipodi di quella di Sverdlov: prima vera diva del muto, è anche la prima donna imprenditrice di Hollywood. Pickford, salita alla ribalta quando ancora i cinema erano posti per prostitute e borseggiatori, riesce a fondare una sua Corporation e guadagnare tanto quanto il suo acerrimo rivale, Charlie Chaplin.

Mary Pickford, madre inconsapevole del girl power, è in realtà l'espressione dell'America più conservatrice, instancabile sostenitrice dell'intervento armato contro i tedeschi. Ma lei, che si trova dietro lo schermo, non è più immune alla Spagnola dei suoi spettatori che, stipandosi nelle sale buie, contribuiscono alla propagazione del morbo. Il sistema immunitario della fidanzatina d'America però è battagliero come lei e, dopo averla salvata da difterite e tubercolosi, la salva anche dalla Spagnola. Sarà un altro virus a sconfiggere Mary, si chiama cinema sonoro e invaderà gli schermi nel 1927, relegando la star del muto all'oblio.

La commissione sanitaria ha detto: evitate le folle”
Wilson, Sverdlov e Mary Pickford sono solo tre dei quindici ammalati illustri raccontati da Chiaberge, non soltanto nella malattia ma anche nelle loro vite, che tanto hanno influenzato – è davvero il caso di dirlo – la società del dopoguerra.

Sfilano dunque Walt Disney, Sykes e Roosevelt, ma anche figure meno conosciute, come Sophie Freud o Anton Dilger, medico tedesco che infettava i cavalli dell'esercito americano. Chiaberge abbraccia comprensivo tutti i suoi personaggi, sapendoli accomunati da un simile destino, li racconta con toni romanzeschi e sempre profondamente umani. Una serie di piccole biografie, avvincenti e di lettura veloce, inframmezzate da documenti d'epoca che testimoniano l'effettivo passaggio della Spagnola: dispacci medici, articoli di giornale, lettere di chi assiste impotente al propagarsi del morbo. Perché una cosa è certa: all'indomani della guerra di trincea il vero nemico invincibile è quello che non si può vedere.

Riccardo Chiaberge
1918: la grande epidemia
Utet, 2016
304 pp., 16 euro

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