News
September 25 2015
Se a dicembre l'ex governatore dell'Emilia Romagna Vasco Errani (per il quale la Cassazione ha annullato con rinvio in appello la condanna a un anno di reclusione per falso ideologico nella vicenda “Terremerse”) diventerà il nuovo ministro degli Affari regionali o sottosegretario alla presidenza del Consiglio, allora non saranno solo indiscrezioni di oggi quelle che indicano il braccio destro di Pier Luigi Bersani come il principale artefice del soffertissimo accordo tra maggioranza e minoranza del sulla riforma del Senato e in particolare sul nodo dell'elettività dei futuri consiglieri-senatori.
Ddl Riforme, cosa prevedono gli emendamenti dell'accordo
Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani praticamente non si parlano più. L'ex segretario ha disertato l'ultima Direzione nazionale del partito pur di non ritrovarsi faccia a faccia con il premier. Ha chiesto alle sue truppe di uscire dall'aula per simboleggiare il passo indietro. Mentre avanti ha mandato colui che chiama “mio fratello” e che Renzi stima e ha in simpatia più di chiunque altro tra i suoi avversari interni.
Gli argomenti di Errani per arrivare all'intesa
Errani, che da tempi non sospetti ha sempre avuto in testa il pallino del Senato non elettivo, ha convinto gli altri ricorrendo al pallottoliere e a un ragionamento semplice semplice: con i voti di Verdini e quelli dei forzisti tentati dal sì, la riforma passerà comunque e noi ci ritroveremo condannati all'irrilevanza. Senza contare che Renzi potrà additarci davanti all'opinione pubblica e al nostro elettorato come i soliti frenatori, gufi, conservatori. Invece, se concordiamo una tregua dignitosa, Bersani e l'intera truppa restano ancora al centro del gioco.
Malumore tra gli altri bersaniani
Il risultato ottenuto porta con sé però anche il risvolto della medaglia. La tregua siglata appare a molti soprattutto come una resa pressocché incondizionata al renzismo. L'accusa principale è quella di aver barattato la propria dignità in cambio della propria poltrona. E anche tra gli stessi senatori bersaniani serpeggia una certa irritazione per una decisione, rivendicata come un grande successo della propria battaglia, ma che in un sol colpo ha spazzato via i toni minacciosi insieme a una buona dose di credibilità.
LEGGI QUI: Chi sono i vincitori e i vinti della battaglia sul Senato)
"Per lui incarico di governo, e a noi?"
La minoranza dem non è mai stata compatta. Nemmeno i seguaci dell'ex segretario lo sono mai stati tra di loro. Almeno a una decina non sfugge che la soluzione escogitata, il cosiddetto sistema Tatarella sostenuto proprio dallo stesso Errani, è frutto di un compromesso al ribasso, passato sopra la loro testa e anche piuttosto pasticciato. Non solo. Nella Ditta adesso ci si chiede che vantaggio, a parte quello di aver scongiurato la fine anticipata della legislatura, porterà un accordo che, almeno per ora, sembra premiare uno solo di loro, Vasco Errani.
L'ipotesi Affari regionali
Un incarico di governo è ormai dato per scontato. Già in passato si era presentata l'occasione, ma era stato Bersani a stoppare tutto. Adesso invece si parla di un ruolo di peso. Dal Pd emiliano si parla del dicastero agli Affari Regionali rimasto vacante dopo le dimissioni di Maria Carmela Lanzetta a gennaio e ancora nelle mani di Renzi, ad interim.
L'ipotesi sottosegretariato
Ma si tratta di un ministero senza portafoglio, senza deleghe vere. Per questo l'altra ipotesi è che Si tratta però di un ministero senza portafoglio perciò l'altra ipotesi è che per l'”uomo dell'accordo” si aprano le porte di Palazzo Chigi con una nomina a sottosegretario alla Presidenza. Un posto che fu di Graziano Delrio e oggi occupato da Claudio De Vincenti.
La strategia del premier
Il premier ha comunque tutta l'intenzione di sciogliere il rebus. Non si tratta solo di ricompensare il tre volte presidente emiliano per il lavoro di tessitore svolto nella complicata partita della riforma del Senato. Renzi ha bisogno di ricompattare il partito e, con un incarico di massimo livello a uno dei principali esponenti della Ditta, mira a riavvicinare a sé e al governo quel pezzo di partito che finora gli si è sempre schierato contro. Un'operazione resa urgente anche dalle prossime scadenze in calendario. A cominciare dalla legge di stabilità su cui la solita minoranza ha già annunciato battaglia.