Lifestyle
March 29 2023
Nel quadrilatero goloso della Bologna medievale si trova, da prima della scoperta dell’America, una bottega dove si va a bere il vino e ci si porta il mangiare da casa: è l’Osteria del Sole. Ci arrestarono, pare, anche Giovanni Pascoli per le sue idee un po’ troppo rivoluzionarie. È la culla di un’evoluzione: tramontano i cuochi «astrusiani» che creano senza farti capire nulla di ciò che mangi e trionfano le cuoche «artusiane» che s’attengono ai dettami di Pellegrino Artusi, storico scrittore e gastronomo autore della Bibbia: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene.
Torna la trattoria, magari di lusso, con i piatti ben piantati nella tradizione, mentre s’appanna la cucina glamour, quella stellata per capirci. Il primo ad alzare le mani è stato il cucinatore di licheni e muschi René Redzepi: i costi dell’altissima ristorazione sono insostenibili, così ha chiuso il Noma di Copenaghen. Prima di lui l’imbanditore spagnolo di schiume Ferran Adrià, l’uomo del «todo es chimica», aveva abbassato la serranda. Anche in Italia ci sono stellari scricchiolii: Norbert Niederkofler chiude il St. Hubertus (tre stelle). Manca il personale, costa troppo stare sulla cresta dell’onda e la creatività a ogni costo non paga. Se non ci fossero i catering, le comparsate in tivù e le consulenze, il baraccone della cucina da firmamento sarebbe già in panne. Sta finendo l’epoca dello chef divo osannato dalla critica e foraggiato dalle multinazionali della nutrizione: che tra polveri di vermi, etichette a semaforo, carne di laboratorio e integratori lavorano alla distruzione delle identità gastronomiche per creare un unico enorme stomaco mondiale che solo loro vogliono soddisfare.
La cucina torna alla trattoria, almeno in Italia e sotto gli effetti della crisi e della deglobalizzazione. Piatti del territorio e riconoscibili, massima qualità e tracciabilità degli ingredienti, prezzi non necessariamente modici ma accettabili, cuoco pronto al dialogo. Infine, se possibile, radicamento storico. E, alla faccia dell’Ue che vuole mettere sulle bottiglie l’etichetta «non lo bevete perché fa venire il cancro», una meditata, ottima scelta di vini.
È partito da questi concetti Marco Bizzarri, ceo di Gucci, per rianimare l’Osteria del Viandante a Rubiera, Reggio Emilia (osteriadelviandante.com), ospitata in un castelletto al centro del paese. Lì c’erano le sue radici, lì oggi c’è il prototipo del nuovo-antico ristorante italiano. Un’esperienza unica di gusto e fascino. Eccelsa cantina, accoglienza da sogno e menù radicato nell’Emilia migliore, officiato da Jacopo Malpeli e dalla sua brigata che fa della territorialità il valore aggiunto.
Il piatto forte? Il Savarin (di riso) alla moda di Cantarelli, l’archetipo della trattoria emiliana dove Mirella e Peppino Cantarelli hanno fatto fino al 1982 la storia della cucina di tradizione. Al Viandante il Savarin viene servito su piatti Ginori 1735 e il fascino s’incrementa. A Firenze c’è una trattoria gourmet pluripremiata dove il vino fa la differenza. Siamo da Fiaschetteria Burde (daburde.superbexperience.com) dove Paolo Gori in cucina e Andrea Gori (scrittore di vino) in cantina officiano la più rigorosa tradizione toscana: pappa al pomodoro, bistecca, gnudi di ricotta e erbe, crostini neri, trippa. Ha confidenza con la storia Il Capanno, località Torre Cola, Perugia (ilcapannoristorante.net). Se ne sta in cima alla «Somma», il valico che da Spoleto traguarda Roma. Da lì passò anche il Casanova che fermatosi all’osteria concupì la giovane cameriera mentre il prelato che lo accompagnava aveva fatto incetta di tartufi.
Proseguendo per Roma, e sentendo il profumo della trifola invadere la carrozza, Casanova indagò il religioso e scoperto il furto lo lasciò a piedi. Non c’è pericolo d’essere sfrattati oggi da Mauro Rastelli che presiede l’osteria dove il tartufo non manca mai. In cucina sua sorella Cristina fa miracoli con le frittatine agli asparagi, gli strangozzi alla spoletina, i piccioni ripieni, le tagliatelle ai funghi. E poi c’è il camino sempre accesso dove cuoce di tutto. Le bottiglie sono all’altezza. E siamo a Roma. Alle spalle di Montecitorio si trova la Trattoria Matricianella che è la quintessenza della cucina romana, ingentilita dal sorriso di Grazia Lo Bianco. Giacomo, il fratello, ha messo su una cantina spettacolare, Mauro Cigli fa la sala, Giovanni Fabbrotti sforma filetti di baccalà, carciofi alla giudia, abbacchio, cacio e pepe, carbonara e matriciana di altissimo godimento gastronomico.
Si torna al Nord a San Giovanni in Persiceto, nelle campagne bolognesi, per bussare all’Antica Osteria del Mirasole (osteriadelmirasole.it). In cucina Franco Cimini, chef e patron, offre tortellini, tagliatelle, cervello fritto con le zucchine, piccione ripieno, fegatelli, cosciotti di pecora: una sintesi di raffinatissima ruralità. La stessa che si respira sulle sponde del Garda alla Tenuta Canova di Masi a Lazise (masi.it) dove il risotto all’Amarone è un piatto d’amore. A Milano come a Roma la trattoria fu la prima ristorazione e allora come non sedersi ai tavoli dell’Antica trattoria della Pesa (anticatrattoriadellapesa.com) o alla Trattoria del Nuovo Macello (trattoriadelnuovomacello.it) dove il risotto giallo, l’ossobuco, la cotoletta assurgono a poesia? Anche il Piemonte è la patria delle locande storiche. Una di quelle che merita una sosta è il Ristorante Corona a San Sebastiano al Curone (AL). È aperto dal 1702 e ha avuto frequentatori illustri, da D’Annunzio all’editore Ricordi, al ciclista Fausto Coppi. Tutti pazzi per il vitello tonnato, la frittatta alla ricotta, la terrina di toma al tartufo nero, il patè di tre fegati. Piatti cucinati con le ricette tramandate da generazioni (www.corona1702.com). A Genova, invce, c’è La Brinca (labrinca.it) come la lanterna del porto illumina col pesto, prebuggiun e la panissa. E al Sud? Laggiù sono tutte trattorie. Basta una a dare l’idea. A Napoli Mario Bianchini celebra l’Osteria Eduardo, Totò e pasta e fagioli (toto-eduardo-e-pasta-e-fagioli.business.site) e lì). Le stelle, per una volta, si accomodano e stanno a guardare.