Economia
July 19 2017
Secondo Nathaniel Borenstein, chief scientist presso Mimecast, società specializzata in email management per il cloud, il futuro sarà caratterizzato da un’importante domanda: “Come condivideremo la ricchezza in un mondo in cui la maggior parte delle persone non avrà più bisogno di lavorare?”. L'esperto è stato intervistato nell’ambito di un’inchiesta sul futuro del lavoro siglata da Pew Research che indaga l'impatto della robotizzazione. Nel mercato capitalistico, infatti, gli stipendi sono il modo in cui i dipendenti ricevono una parte di ciò che contribuiscono a produrre. In confronto alla fetta dei proprietari del capitale, la proporzione destinata ai lavoratori è sempre stata bassa e non ha continuato a crescere come quella di chi detiene il capitale.
La tecnologia ha accentuato il fenomeno. Se da una parte ha reso i lavoratori più produttivi, i profitti ancora una volta sono andati al capitale. Per esempio, fra il 1973 e il 2011, riferisce il Guardian, la produttività negli Stati Uniti è cresciuta dell’80,4%, ma il compenso orario medio ha beneficiato di un incremento molto più limitato, pari soltanto al 10,7%. In base ai dati di Forbes, inoltre, nel 1989 si contavano 190 miliardari nel mondo, mentre nel 2016 erano 1.826.
L’automazione di massa minaccia di rendere le disuguaglianze ancora più ampie. I robot, infatti, hanno i numeri per amplificare le dinamiche del capitalismo e c’è chi teme che in un’economia completamente automatizzata, i lavoratori non avranno più la possibilità di portare a casauno stipendio, mentre il capitale (e chi lo possiede) potrà continuare a arricchire se stesso attraverso la tecnologia.
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E’ per queste ragioni che Tech Crunch prevede che qualsiasi sistema economico che prevarrà nei prossimi venticinque anni “non assomiglierà a nulla di ciò che abbiamo visto finora”. Se nei prossimi vent’anni il lavoro sarà messo in discussione su larga scala fino al punto di non avere più una ragione di esistere, servirà un nuovo sistema economico che possa garantire la sopravvivenza anche a chi non ha più possibilità di trovare un impiego.
L’ipotesi di un “comunismo del lusso completamente automatizzato”, in cui ai lavoratori sarà richiesto di impegnarsi per una dozzina di ore a settimana in cambio del sostegno anche finanziario da parte dello stato, è in giro da un po’, ma il concetto inizia a trovare sostenitori anche nella Silicon Valley. Imprenditori come Elon Musk, Marc Andreessen e Pierre Omidyar, co-fondatore di eBay, si sono espressi a favore di studi di fattibilità sul reddito universale. Una modalità per finanziarlo, appoggiata per esempio da Bill Gates, è tassare i robot che sottraggono posti di lavoro alle persone che, dunque, si trovano nell’impossibilità di provvedere a se stesse.
Le tasse sui robot, suggerisce il Guardian in un'altra occasione, dovrebbero essere disegnate come un modo per ridurre l’ineguaglianza determinata dall’automazione. Una formula politicamente più accettabile di una tradizionale tassa sulla ricchezza, perché riguarderebbe solo quella parte di profitti derivanti dall’utilizzo della tecnologia che rende obsoleti i lavoratori.
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In alternativa al reddito universale, i fondi raccolti con questo tipo di tassazione potrebbero essere usati per aiutare i lavoratori a rilanciarsi in una nuova carriera. Quello che è certo è che la tendenza al consolidamento della ricchezza e della tecnologia nelle mani di un numero limitato di ultra-ricchi, a fronte di una crescente massa di lavoratori non impiegabili, avrà bisogno di una risposta nei prossimi anni.