L'odissea dei Rohingya, apolidi in mezzo al mare - Foto
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Oltre a quello che meglio conosciamo, in atto nel vicino mar Mediterraneo, un analogo dramma con protagonisti profughi, barconi e la disperata ricerca di una vita dignitosa si sta consumando in queste settimane nel mare delle Andamane, al largo dell'Indonesia. Secondo le stime delle Nazioni Unite sono circa 6.000 i migranti di etnia Rohingya, in fuga dalla Birmania, da una settimana abbandonati in alto mare in condizioni drammatiche, senza riserve di cibo e acqua, dagli scafisti che tentavano di condurli sulle coste di Malesia, Indonesia e Thailandia. Dopo averne distrutto i motori, per evitare l'arresto gli scafisti hanno abbandonato nella baia del Bengala le imbarcazioni su cui trasportavano i migranti. Finora respinti da tutti gli altri Paesi del Sudest asiatico, nonostante l'appello dell'ONU per evitare una crisi umanitaria, i rifugiati saranno probabilmente accolti dalle Filippine, il cui governo si è detto oggi disponibile a soccorrerli. Anche il governo della Turchia ha dichiarato la propria disponibilità a intervenire con una propria nave militare. Nessuna decisione verrà comunque presa prima di un summit convocato dalla Thailandia per il 29 maggio.
Nei primi mesi del 2015, prima che i governi dei Paesi circostanti ordinassero i respingimenti in mare, circa 28.500 di loro, secondo i dati di Human Rights Watch, sono riusciti a trovare approdo, accolti in campi profughi dai governi di Bangkok, Kuala Lumpur e Giacarta, ma sono a rischio di espulsione. Langsa, città della provincia di Aceh, in Indonesia, è quella che ha accolto la maggior parte dei "salvati", per mano di pescatori indonesiani.
Presente principalmente in Birmania, nello Stato settentrionale del Rakhine, al confine con il Bangladesh, la minoranza etnica non riconosciuta dei Rohingya, di religione musulmana, subisce fortissime discriminazioni sotto la dittatura militare. Poco meno di un milione tra i 50 milioni di abitanti del Paese, pur essendo presenti nell'area da oltre un millennio, dal 1982 i Rohingya sono stati privati della cittadinanza birmana e dei diritti fondamentali: nessuna libertà di movimento o diritto alla proprietà privata, nessun accesso a sanità o istruzione e, dal 1° aprile scorso, la perdita del diritto di voto. Vivono per lo più in condizioni di estrema povertà, confinati in campi di internamento. A partire dal 2012 sono inoltre aumentati gli episodi di violenza ai loro danni da parte dei buddhisti, la maggioranza nel Paese, che hanno dato fuoco a villaggi e massacrato centinaia di persone, senza alcun intervento delle autorità.