Roma dimentica i più fragili: bambini e ragazzi disabili senza assistenza a scuola

All'inizio di settembre, le scuole di Roma hanno riaperto le porte, ma per molte famiglie con bambini e ragazzi con disabilità, l’atteso ritorno sui banchi si è trasformato nell'ennesimo incubo. Alunni che dovrebbero ricevere supporti essenziali, come la Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), necessaria per chi ha difficoltà verbali, o l’assistenza dell’Operatore Educativo per l'Autonomia e la Comunicazione (OEPAC), restano ancora senza servizi. Così, mentre i loro compagni iniziano regolarmente le lezioni, per loro le settimane passano nel silenzio e nell'isolamento.

Mariangela Di Costanzo, vicepresidente di Rete SupeRare, racconta la frustrazione crescente delle famiglie romane. “Ogni anno ci ritroviamo a fare i conti con lo stesso disastro: proclami di inclusività e assistenza da parte delle istituzioni, che poi si rivelano vuoti. Quest’anno, per la CAA, siamo ancora al punto zero. Nonostante la Regione Lazio abbia trasferito i fondi al Comune di Roma, tutto è bloccato. Il Comune sostiene che i fondi siano insufficienti, ma intanto i nostri ragazzi non ricevono assistenza.”

La CAA non è solo un servizio qualsiasi: è l'unico strumento che permette a bambini e ragazzi con gravi difficoltà comunicative di interagire con i propri insegnanti e compagni. Senza di essa, quei ragazzi restano isolati, invisibili tra i banchi. Una condizione devastante per chi vive in un mondo in cui la parola e il linguaggio sono ponti essenziali per crescere, imparare e sentirsi parte della comunità.

Una situazione che si è fatta ancora più drammatica quando le famiglie, a pochi giorni dall'inizio della scuola, hanno scoperto che la tanto necessaria assistenza non sarebbe stata garantita. Il 21 settembre, con le lezioni già iniziate da dieci giorni, un comunicato sul sito del Comune annunciava una delibera sull’argomento. Ma mancavano i dettagli, e soprattutto, non c'erano risposte. Le famiglie si sono affrettate a contattare scuole e municipi, sperando di ottenere qualche chiarimento, ma nessuno era in grado di dare informazioni concrete. Alla fine, si sono ritrovate con l’ennesima richiesta di documenti, certificati e aggiornamenti dei piani di integrazione scolastica, senza sapere quando o se il servizio sarebbe iniziato.

Ma a restare boccata non è stata solo la CAA, ma anche l’OEPAC, l’altro pilastro per l’inclusione scolastica. Infatti durante l’estate, il Comune di Roma ha approvato una nuova delibera che ha cambiato le modalità di gestione del servizio. Ora, le ore di assistenza non sono più settimanali ma annuali. Un dettaglio che ha creato confusione e timori tra le famiglie: “Come facciamo a sapere se avremo le ore necessarie per tutto l'anno? E se mio figlio si ammala e si assenta, perderà quelle ore di assistenza che gli spettano? Nessuno sa rispondere.”

Un caos alimentato dalla mancanza di trasparenza e dialogo. Le 15 Consulte Municipali, che rappresentano le famiglie, hanno richiesto un incontro urgente con l’Assessore Capitolino, ma non hanno mai ottenuto una risposta. Di Costanzo stessa, con Rete SupeRare, ha inviato una lettera ufficiale per sollevare tutte queste problematiche, ma anche questa richiesta è rimasta inascoltata.

Non è solo una questione di servizi mancanti, ma di vite spezzate, di opportunità negate. Ogni giorno senza assistenza è un giorno perso per questi bambini. E per le famiglie, è una lotta quotidiana con la burocrazia, un senso di abbandono che si ripete anno dopo anno. “Le famiglie sono esauste,” dice Di Costanzo, “ogni settembre ci viene chiesto di fare i conti con un sistema che non funziona, che ignora i bisogni dei più fragili e ci lascia senza risposte.”

Ad oggi mentre il sindaco Gualtieri e il Comune di Roma rimangono in silenzio, le settimane passano e i bambini restano senza la possibilità di comunicare, di imparare, di sentirsi parte di una comunità scolastica che dovrebbe accoglierli e supportarli. La retorica dell’inclusione nonostante i proclami della giunta capitolina sembra lontana dalla realtà quotidiana vissuta da queste famiglie, che chiedono soltanto una cosa: che i loro figli non vengano lasciati indietro, dimenticati in un sistema che dovrebbe proteggerli.

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