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March 25 2014
Anna (nome di fantasia) ha 33 anni, 2 figli piccoli di 7 e 5 anni, è senza lavoro e suo marito si trova in carcere. Vive con la madre, il fratello e i bambini in una delle case popolari di una periferia degradata di Roma. Per occuparne un'altra, saltando le interminabili liste d'attesa, le hanno chiesto 20mila euro.
Per ora Anna non intende accettare. Capisce che si tratta di una “cosa illegale” e nonostante le enormi difficoltà in cui si trova, pensa che cedere significherebbe peggiorare ulteriormente la sua situazione. Ma per quanto resisterà?
A Roma migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini scontano, come Anna, il più grave e antico paradosso di questa città, quello di essere il comune con il più alto numero di case sfitte o invendute d'Italia (50mila) e il più alto numero di persone (circa 100mila) in emergenza abitativa, cioè senza casa.
Tallone d'Achille di tutte le amministrazioni che, senza distinzione di colore politico, si sono succedute al Campidoglio, ugualmente incapaci di resistere agli appetiti dei famigerati palazzinari lasciati liberi di cementificare e fare affari d'oro il più delle volte omettendo di realizzare tutte quelle “opere compensative”, come strade, stazioni, scuole, giardini, previste in cambio delle migliaia di metri cubi concessi dal comune per costruire su terreni pubblici.
Ma se le case, troppo costose (di edilizia popolare a Roma non se ne fa più dagli anni '80), restano invendute o sfitte, perché costruire ancora? E come avrebbero fatto le varie società di costruzione a guadagnarci comunque tanto?
Facile, grazie alle occupazioni abusive!
Sembra incredibile, ma da anni il meccanismo è proprio questo: i palazzinari costruiscono, le case restano sfitte, gruppi organizzati le occupano abusivamente e a quel punto, per evitare tensioni sociali e far contenti i costruttori, interviene il Comune che le acquista e ci lascia dentro gli occupanti abusivi mentre chi è in fila per l'assegnazione regolare di una casa resta in attesa.
Ma occupare non è un lavoretto da niente. Servono dei professionisti. Gente esperta in scasso (porte e portoni d'ingresso devono essere forzati, divelti e abbattuti), sfruttamento della manodopera clandestina e resistenza a pubblico ufficiale. Nulla viene fatto per beneficenza, senza scopo di lucro e per alti fini morali, politici e sociali. Dare un tetto a chi non sa più dove sbattere la testa rappresenta, anzi, un'attività molto redditizia.
La selezione degli inquilini avviene secondo criteri semplici, il primo dei quali è essere il più ricattabili possibile: gli stranieri senza permesso di soggiorno sono infatti quelli con più chance di entrare.
Molto gradita anche la presenza di vecchi, bambini, paraplegici e cardiopatici usati dalle organizzazioni per bloccare gli sgomberi o gridare allo scandalo quando questi vengono provvisoriamente portati a termine prima che la Procura sia costretta, dopo un braccio di ferro perso contro il Comune, a disporne - come è accaduto nei giorni scorsi - il rientro.
Una volta conquistato un tetto, gli occupanti devono continuare a guadagnarselo ogni giorno. Per non essere sbattuti fuori da un momento all'altro, i nuovi inquilini, soprattutto se extracomunitari, sanno che saranno puntualmente precettati per partecipare a manifestazioni, sit in, blocchi stradali; costretti a versare somme di denaro, a tassarsi per fare il regalo di Natale ai capi dell'organizzazione o, come risulta dalle carte dell'inchiesta che ha recentemente portato allo sgombero di due palazzi occupati in via Tuscolana e a Centocelle, a omaggiare Pinona, leader di uno dei movimenti di lotta per la casa, di una piscina gonfiabile a suo uso esclusivo.
Una volta occupato, uno stabile non conserva quasi mai la sua pianta originale. Gli occupanti provvedono a realizzare opere di ristrutturazione, “fanno i lavori”. Dietro il pagamento (a carico delle famiglie) di cifre che possono andare dai 1.000 fino ai 5mila euro, ecco spuntare bagni e cucine dove prima non c'erano.
Un occupante lo è per sempre anche se, nel frattempo, ha risolto i suoi problemi economici ed è diventato perfettamente in grado di pagarsi un regolare affitto. E' il caso di una dirigente di una delle sigle che per anni hanno dominato il fiorente settore delle occupazioni a Roma. Dovendosi assentare per alcuni mesi per un incarico di lavoro all'estero, invece di lasciare il suo appartamento a disposizione di altre famiglie in difficoltà, lo ha “prestato” a un'amica per impedire, colmo dei colmi, che qualcun altro lo occupasse durante la sua assenza.
Così è accaduto a Corviale dove gli appartamenti del serpentone di cemento lungo un chilometro tirato su negli anni '80, furono rubati ai legittimi proprietari quando nemmeno erano ancora terminati i lavori.
Nei giorni scorsi, su richiesta del pm Luca Tescaroli, la procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone ha iscritto nel registro degli indagati circa quaranta persone del Comitato popolare di lotta per la casa. Le accuse ipotizzate sono pesantissime: si va dall'associazione per delinquere all'estorsione, minacce, violenza privata. L'inchiesta ha avuto origine dalla denuncia di alcuni occupanti cacciati dagli edifici controllati dal Comitato. C'è chi ha raccontato di essere stato sequestrato per ore nel piazzale dello stabile con il divieto di mettere mano al telefono cellulare; giovani madri che Pina avrebbe minacciato di far arrestare nascondendo droga nei loro alloggi o di essere buttate per strada e spedite nei residence dove si spaccia e le donne vengono violentate; di continue richieste di soldi: da 20 fino a 100 euro al mese agli stranieri, 500 euro per ospitare un parente, 1.000 per “rimanere iscritti nelle lista degli aspiranti assegnatari di un all'alloggio”.
Al vice-sindaco di Roma Luigi Nieri, da sempre vicino ai movimenti di lotta per la casa (una battaglia talmente giusta e sacrosanta che non si capisce come gli amministratori locali abbiano sempre permesso che fosse gestita da associazioni private che agiscono nell'illegalità e con metodologie molto opache, invece di farsene carico attraverso politiche serie e interventi strutturali) sfugge, per sua stessa ammissione, l'intreccio con la vicenda dello sgombero dell'Angelo Mai, uno spazio artistico occupato in via delle Terme di Caracalla e sgomberato contemporaneamente ai palazzi di Cinecittà e Centocelle. “Non si capisce – ha detto Nieri – perché anche lì si è dovuti arrivare al sequestro”.
Forse perché a capo del Comitato che gestiva le occupazioni su cui la magistratura sta indagando c'è quella Maria Giuseppa Vitale, detta Pina che, oltre a costringere gli occupanti delle case occupate a tassarsi a Natale per comprarle la piscina, guida per conto dell'associazione “Angelo Mai Altrove Occupato”, il ristorante dello “spazio culturale” senza alcuna autorizzazione amministrativa?
Come altre realtà simili, anche l'Angelo Mai rappresenta una di quelle situazioni nella quale con la scusa della produzione e promozione culturale “dal basso”, gruppi di persone fanno profitti fuori da ogni regola e controllo con l'appoggio di artisti, intellettuali, politici che, come ha scritto Enrico Pazzi, giornalista più volte minacciato per le sue inchieste sul racket delle occupazioni, “magari, per giustificare ai “compagni” il proprio ricco successo, sono pronti a lottare e a combattere a fianco di coloro che reputano essere la povera gente. Quasi fossero in cerca di una verginità perduta”.
Così, mentre ogni giorno attività commerciali di ogni genere, locali, pizzerie, ristoranti sono costrette a chiudere i battenti perché non ce la fanno a pagare le tasse, l'affitto, le bollette, gli stipendi dei dipendenti, le multe, c'è chi, dietro il paravento della cultura, occupa abusivamente degli spazi, non paga acqua, luce, gas, spazzatura ecc (tanto c'è il resto dei cittadini romani che ci pensa), evade il fisco, trasgredisce norme di sicurezza e igienico sanitarie, somministra illegalmente cibo e bevande a fronte di lunghi e onerosi corsi imposti dalla Regione per chi intenda farlo regolarmente.
Senza bisogno di fare nomi e cognomi, basta farsi un giro per i cosiddetti “centri sociali occupati” romani per avere la dimostrazione di cosa accade all'interno: richiesta di biglietto d'ingresso camuffato da “sottoscrizione libera”, vendita di vino a prezzi stracciati (1 euro a un bicchiere significa almeno tre cose: che il vino è di pessima qualità, che il guadagno per l'esercente è comunque altissimo, che viene permesso a migliaia di giovani – alla faccia del valore sociale dello spazio – di girare di notte per strada ubriachi pesti), spaccio di droga, qualsiasi droga, cocaina ed eroina comprese.
Non c'è dubbio che ci siano differenze tra un centro sociale e l'altro. Gli spettacoli proposti da Angelo Mai e Teatro Valle sono senz'altro validi. Ciò non toglie che fare un'offerta culturale di alto livello a costo zero e fuori da ogni regola e controllo è più facile che riuscirci rispettando la legge.
Gli occupanti hanno minacciato di rioccupare presto questo spazio perché, come ha detto uno di loro in un'intervista dopo lo sgombero, “noi rivendichiamo la nostra illegalità, perché la nostra illegalità è legittima”.
Però la legge non è un menu a la carte. I magistrati non sono eroi quando colpiscono gli avversari politici e fascisti quando, come in Val di Susa o nei processi contro le devastazioni ad opera di manifestanti violenti o come quando sgomberano stabili abusivamente occupati, fanno rispettare le regole. Che sono la garanzia, l'unica garanzia, del nostro vivere civile. Che non ammettono di essere trasgredite in base a una presunta buona giustificazione. Perché se si ammette che i fini giustificano i mezzi, allora da una parte dovremmo riconoscere che tutti i fini sono universalmente validi, dall'altra che lo siano anche tutti i mezzi per raggiungerli.
La sinistra, quella riformista e più sinceramente democratica e progressista, ci ha messo anni a liberarsi dal pregiudizio che la legalità fosse un valore della destra. La legalità è un valore universale e a maggior ragione dovrebbe esserlo per chi si batte contro le ingiustizie sociali, la sopraffazione, la violenza, l'abuso. Per questo un'amministrazione di centro-sinistra, come quella che guida Roma, non può tollerare l'illegalità e nemmeno permettere che le persone più fragili diventino vittime due volte: del disagio sociale e dello sfruttamento da parte di gente senza scrupoli che agisce contro di loro e contro tutta la città con modalità oggettivamente mafiose.