Calcio
January 02 2023
Cristiano Ronaldo non trascorrerà la sua vecchiaia in povertà, nemmeno se dovesse impegnarsi a dilapidare tutto il patrimonio accumulato in vent'anni di carriera. Non c'erano molti dubbi prima, non ce ne sono più ora che ha firmato il contratto che lo legherà all'Arabia Saudita nei prossimi otto anni di cui due e mezzo come calciatore dell'Al Nassr (500 milioni netti per il disturbo) e il resto da ambasciatore del progetto saudita di sbarco nel calcio che conta (un altro mezzo miliardo al netto delle tasse).
Tanto per farsi venire un pizzico di sana invidia, CR7 che è uscito con le ossa sportivamente rotte dall'ultimo Mondiale della sua vita, guadagnerà da qui in poi 385 euro al minuto, 23.184 all'ora, 555.550 al giorno e 16.666.666 (periodico) al mese. Il disturbo di mettere fine alla propria storia di giocatore di calcio per rifugiarsi nel paese dei balocchi è ben ricompensato, insomma. Beato Ronaldo e chi nelle prossime generazioni godrà dei benefici di tale scelta che porterà a circa 2 miliardi di euro il totale degli stipendi incassati dal portoghese tra Sporting Lisbona, Manchester United, Real Madrid, Juventus e ancora United - più gli arabi dell'Al Nassr -, senza dimenticare i guadagni da star dell'immagine per le ricche partnership commerciali sottoscritte nel tempo.
Più interessante, però, è capire perché l'Arabia Saudita abbia deciso di coprire d'oro CR7 da qui al 2030. Di sicuro le ambizioni dell'Al Nassr di tornare a vincere qualcosa c'entrano solo limitatamente. Decisiva, invece, è la spinta che la famiglia regnante impersonata dal principe Mohammed bis Salman sta cercando di imprimere per rendere il deserto arabo il terzo centro focale del calcio del futuro, sfidando sullo stesso terreno i vicini di casa Emirati e Qatar. Un'ascesa a colpi di spese che ricalca quanto fatto negli ultimi quindici anni e che nel football europeo abbiamo imparato a riconoscere seguendo la parabola di Paris Saint German e Manchester City, prima che il Mondiale del Qatar diventasse una realtà e non solo l'incubo dei sogni dei tifosi.
Si chiama 'Saudi Vision 2030' e si declina nell'idea che anche l'Arabia Saudita, così come i facoltosi vicini di casa, investa a piene mani nello sport e nel calcio in particolare per rifarsi un'immagine a livello internazionale diversificando i pilastri della propria economia, non legandola solo alle ricchezze dell'estrazione del petrolio. Un progetto avviato da almeno un lustro e che ha già dato i suoi primi frutti. L'acquisto discusso del Newcastle da parte del fondo PIF ha portato in Premier League un'ondata di novità e minaccia di riscrivere a breve le gerarchie. Serie A e Liga si sono legate ai sauditi esportando le rispettive super coppe nazionali accettando anche, nel caso degli spagnoli, di modificarne il format per massimizzare i guadagni.
Un'escalation destinata a non fermarsi. Anzi. E qui entra in gioco Cristiano Ronaldo che percepirà la metà di quel faraonico ingaggio da un miliardo di euro per fare da ambasciatore a tutta la visione con l'obiettivo finale di portare (di nuovo) nel deserto arabo un'edizione della Coppa del Mondo. Quale? I riflettori sono sul 2030 e nei prossimi mesi si combatterà una battaglia politica sottotraccia destinata a ridisegnare i confini del potere del calcio mondiale. Secondo la Uefa si dovrà tornare in Europa, visto che nel 2026 ci andrà in Nord America con un Mondiale spalmato tra Stati Uniti, Messico e Canada. Il presidente sloveno Aleksandr Ceferin ha già dato il suo via libera alla candidatura di Spagna e Portogallo cui potrebbe essere aggiunta come jolly l'Ucraina.
Il Mondiale del centenario (la prima delle 46 edizioni fin qui disputate risale al 1930) fa gola anche al Sud America che ha sul tavolo il progetto congiunto di Uruguay, Argentina, Cile e Paraguay. L'Arabia Saudita, invece, sta lavorando a un agglomerato con Egitto e Grecia tenendo insieme tre continenti e ingolosendo la Fifa di Gianni Infantino, in procinto di avviare il suo secondo e ultimo mandato da presidente. Ronaldo sarà l'uomo immagine di questa sfida. Significa per lui correre "contro" il suo Portogallo e per riportare il Mondiale nel deserto in inverno, alla faccia delle esigenze dei club europei che hanno mal tollerato la lunga pausa di novembre e dicembre a spese loro. Ecco cosa c'è dietro il miliardo riversato su CR7 e la sua immagine. Il calcio è ormai solo un dettaglio marginale nella guerra geopolitica che accompagna le scelte dei potenti del pallone.