News
November 09 2017
"La parola democrazia suona male in russo? Non credo. Democrazia. Democrazia! Sente che bello? E oggi nel mio Paese, sotto quello che voi chiamate il regime di Vladimir Putin, ci sono libertà e democrazia. Magari meno che all'epoca di Gorbaciov, ma ci sono”.
Roy A. Medvedev in quasi un secolo di vita (è nato Tbilisi, Georgia, il 14 novembre 1925) ne ha viste di tutti i colori.
A sentirlo parlare, sorge il dubbio che l’Ovest non abbia capito nulla. Ha 91 anni, la lucidità di un ventenne e la forza di un Atlante. È un dissidente. Ma non quelli di nuova generazione, blogger e avvocati che organizzano i manipoli di millennial russi a protestare contro il Cremlino. Piuttosto è lo storico che ha cambiato la storia.
Fu lui a bloccare alla fine degli anni Sessanta la riabilitazione del “magnifico georgiano” con il suo Let History Judge (Lo Stalinismo, Mondadori). Pagò un prezzo altissimo. Accanto ad Andrej Sakharov, subì arresti domiciliari e ogni genere di repressione.
Oggi vive fuori Mosca. Una casa luminosa. Due bellissime nipotine. Gemelle, proprio come lui e il fratello Zhores, suo alter ego, passato a vivere Oltrecortina. “Se intende l’Urss, sì in Unione sovietica non c'era democrazia ma un regime autoritario. Sotto Stalin, avevo sempre paura. Da studente, da giovane insegnante, o da direttore di scuola, non ero in grado di esprimere il mio punto di vista. Non avevo la possibilità di esercitare alcun diritto democratico. E neppure sotto Nikita Krusciov, né sotto Leonid Brezhnev. A un certo punto non potevano nemmeno più arrestarmi, nonostante i miei libri o i miei articoli”.
Si erano assuefatti o si era assuefatto lei?
“Non sentivo più neppure la minaccia alla mia libertà di parola, tanto avevo sofferto”.
Lei parla di democrazia in Russia, eppure oggi il suo Paese non viene descritto come una democrazia.
In Urss non avevo libertà di parola, non avevo libertà di movimento. Adesso, sotto il cosiddetto regime di Putin, abbiamo tutte le libertà democratiche che avete in Italia, in Occidente e possiamo tranquillamente uscire dal Paese. Io l’ho fatto dieci volte, tre sono stato in Italia. L’ho attraversata tutta. Partecipai anche all'ultimo congresso del Partito comunista quando si sciolse.
Poco fa la sentivo parlare con lo storico Sergey Yakovenko della conversione di Putin. Sembrava un passo biblico. Ce la racconta?
Aveva appena perso il lavoro, dopo la mancata riconferma di Anatoly Sobchak a sindaco di San Pietroburgo. La sua casa di campagna era l’unica cosa rimasta. Ma prese fuoco. Putin in quel momento era nella bania (sauna russa). Mezzo nudo, corse a salvare la moglie e le figlie al secondo piano. Le fiamme divorarono tutto. Putin aveva perso ogni cosa. Mentre vagava tra le macerie, circondato dalla desolazione, ritrovò la croce che la madre gli aveva messo al collo da bambino. Era intatta. Il fuoco l’aveva risparmiata. Fu lì che capì e cominciò a credere.
Che idea si è fatto di Putin? Davvero è così potente?
Mi sono incontrato due volte con il presidente Putin. Oggi non mi sento in alcun modo schiacciato e non penso di avere meno democrazia di quella che avete in Italia. Semplicemente qui non siamo abituati ad avere la democrazia. Può essere che il nostro capo di Stato abbia più potere del vostro presidente del Consiglio: ci sono dei rimasugli di regime totalitario, ma forse sono necessari, viste le dimensioni di questo Paese e le difficoltà nel governarlo. Per noi sarebbe molto complicato cambiare il premier con tanta frequenza come in Italia. Io negli ultimi 20 anni ho sentito parlare di almeno 10 capi di governo italiani. E Romano Prodi, e Silvio Berlusconi, oggi ne avete un altro ancora. Noi abbiamo sempre lo stesso presidente: Vladimir Putin. Per ora. Ma per la Russia è indispensabile perché noi in questo momento siamo ancora in fase di stabilizzazione. E quindi non possiamo utilizzare quelle possibilità che vengono date all'Europa occidentale in termini di prosperità. La prosperità per ora da noi non c’è. Abbiamo ancora molti poveri. Abbiamo ancora una forte discrepanza nella divisione delle proprietà immobiliari. Per questo la stabilità per noi é necessaria e io di questo sono convintissimo.
Se la sente di ripercorrere la sua lunga vita? Partiamo da Stalin.
L’epoca di Stalin è stata l’epoca del terrore. Mio padre fu arrestato. Morì in un gulag. Finii per strada con tutta la mia famiglia, perché il nostro appartamento era di servizio. Vendemmo tutto quello che avevamo e andammo a vivere da dei parenti per un periodo abbastanza lungo. Una povertà terribile. Poi iniziò la guerra e chiamarono alle armi sia me che mio fratello. Siamo gemelli. La guerra era ineluttabile per noi. Dopo la guerra iniziai l’università e io dico sempre che ogni volta era inevitabile aver paura. In quei cinque anni di studi, molti miei compagni di corso vennero arrestati. Il motivo? Avevano detto quello che pensavano su Stalin, sul materialismo, sul fatto che non era tutto così come ci veniva detto. Anche alcuni miei insegnanti vennero arrestati. Quindi ogni volta avevo la riconferma che dovevo stare molto attento a quello che dicevo.
Poi venne il Disgelo.
All’epoca di Nikita Krusciov per me la vita era più semplice. Mi accettarono nel partito, benché mio padre fosse stato arrestato, proprio perché Krusciov lo aveva riabilitato. Ma io potevo lavorare solo in ambito pedagogico: a quel tempo la storia, quella vera, in Unione sovietica non esisteva. E bisognava scrivere e dire quello che si doveva. Sotto Brezhnev la mia vita divenne più semplice dal punto di vista materiale. I salari e gli stipendi aumentarono. Le persone iniziarono a stare meglio, ma non c'era assolutamente alcun passo avanti. Se vogliamo parlare di democrazia, fu proprio allora che mio fratello subì la repressione. Tentarono di rinchiuderlo in un ospedale psichiatrico. Anche lui era uno storico e scrittore. Poi lo spedirono all’estero e ancora oggi vive a Londra. È uno studioso, uno scienziato, un biologo, un genetista. Là è riuscito ad avere molta più fortuna. Attualmente è un pensionato, proprio come me.
La Perestrojka invece rappresentò il suo reintegro nelle fila della politica.
Se devo fare un bilancio, vissi bene sotto Gorbaciov. Anche più di oggi. Perché allora io pubblicavo su quotidiani, su giornali, il mio nome era ovunque. Mi elessero come deputato nel Soviet supremo e mi integrarono nel Comitato Centrale del Partito comunista sovietico. Io ho partecipato a due Congressi del Partito comunista. Per la prima volta uscii dal Paese e venni proprio in Italia. Ma benché quella fu la stagione migliore, non avrei mai pensato che sarebbe finita così male. Per me il dissolvimento dell’Unione Sovietica fu una enorme tragedia. Perché Gorbaciov era ed è una persona a posto, ma era un leader debole. Non aveva una volontà forte. Non aveva carattere e molto facilmente cedeva a compromessi. Con lui parlai diverse volte. Mi convinsi subito che non usava il potere. Ne aveva quasi paura e quando c'era bisogno di usarlo, si fermava. E quindi non resse. C'erano molte persone che si pronunciavano contro Gorbaciov. Tra loro Boris Eltsin, che ebbe poi gran fortuna.
E sotto Eltsin come andò?
Peggio di qualsiasi momento della mia vita. Non vissi mai peggio, neppure sotto Stalin. Quei dieci anni sotto Eltsin furono i peggiori della mia vita. Perché era il tempo della povertà. Io non avevo paura della repressione, ma ero nella totale depressione.
E oggi?
Devo dire che vivo in maniera abbastanza soddisfacente. C’è libertà e democrazia. Magari meno che all'epoca di Gorbaciov, ma c’è. I periodi peggiori della mia vita furono all'epoca di Stalin e Eltsin.
La Rivoluzione d’Ottobre era davvero inevitabile?
No, non era inevitabile. Era inevitabile la rivoluzione di febbraio. Ossia il sovvertimento della monarchia. Solo Lenin sarebbe stato in grado di organizzare la Rivoluzione di Ottobre che, sottolineo, è stata una rivoluzione organizzata. E lo fu proprio da Lenin. Lo stesso Trotsky disse che se Lenin non fosse giunto dalla Svizzera, non ci sarebbe stata. Lenin creò inoltre quella dottrina che nel marxismo non esisteva: vincere in un Paese, passare alla dittatura del proletariato per costruire una società socialista. In questo Lenin si differenziava da Marx. Lo stesso partito comunista non l'ha accettato inizialmente. Quando Lenin arrivò con le sue Tesi di aprile (1917), Stalin e Mikhail Kalinin le respinsero e si rifiutarono di farle pubblicare sulla Pravda. E il partito non appoggiò Lenin in quel caso. Ma poi nella conferenza di aprile riuscì a convincere i bolscevichi che era ora di prendere il potere. Fu Lenin a organizzare il colpo di stato a Pietrogrado. Indicò addirittura la data, sottolineando che il giorno prima sarebbe stato troppo presto e l’indomani sarebbe stato troppo tardi. Se non ci fosse stata, comunque la Russia si sarebbe evoluta. E ci sarebbe stata una rivoluzione sì, ma democratica. Forse non si sarebbe conservata l'unità territoriale perché già l'Ucraina se ne voleva andare e già la Polonia e la Finlandia si erano separate.
E se non ci fosse stata la Rivoluzione?
La Russia si sarebbe trasformata in un paese borghese. Si sarebbe sviluppata più in fretta. Probabilmente molto più velocemente che sotto Lenin e sotto Stalin. Non si sa se poi ci sarebbe stata una rivoluzione socialista. In fondo in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna non ci fu una rivoluzione socialista e neppure in Germania, quindi forse non ci sarebbe stata neanche in Russia. Ma il mio Paese avrebbe avuto uno sviluppo molto veloce, e probabilmente oggi avremmo un paese forse il più ricco dell'Europa, perché abbiamo molte risorse. Sì, sarebbe stato meglio se la Rivoluzione d'Ottobre non ci fosse stata.
A causa di quella rivoluzione oggi la Russia è qualcosa di diverso persino dalla Cina, dall’Italia, dalla Francia, dalla Gran Bretagna. La rivoluzione non raggiunse gli scopi che si era prefissata. Da noi non c'è nessuna giustizia, non c'è benessere, quel benessere che ci prometteva il comunismo. E non c'è niente da festeggiare. Ma per tutto il mondo fu un importante evento. Svegliò la Cina ad esempio, e come vedete oggi Pechino sta costruendo uno stato florido. Ha spaventato e fatto in modo che certi circoli di persone orribili facessero dei passi indietro in Occidente, scendendo a compromessi con i sindacati e con i lavoratori. Mentre i paesi dell'Europa occidentale avanzarono in una prospettiva socialista. Mio fratello vive in Gran Bretagna e io a Mosca. Lui vive molto meglio di me. Prende una pensione superiore alla mia, riceve un'assistenza medica ben più qualificata di quella che ricevo io, gli danno gratuitamente le medicine, e la sua pensione è sei volte la mia.
Lenin, lei scrive, aveva teorizzato che almeno in altri due Paesi europei ci sarebbe stata la Rivoluzione. Questo non accadde, e invece in Italia arrivò il Fascismo e in Germania il Nazismo. Perché non accadde?
In Italia Mussolini arrivò già all'inizio degli anni 20. La situazione dei lavoratori era molto pesante. C'era molta insoddisfazione tra il popolo. E proprio alla luce di questa situazione, le classi dirigenti italiane sostennero il partito fascista. In Germania c’era un'altra situazione e per questo altre cause. Spiegarvelo per me è difficile: sono fenomeni esterni alla Russia e non è il mio campo. Ma le cause sono state abbastanza approfondite in storiografia. Le cause e le basi sulle quali si fondò il nazismo in Germania. Quindi in Europa occidentale sorsero dei regimi totalitari, terrificanti per loro natura, che minacciarono la pace e il mondo, ben più di quanto lo minacciasse la Russia sovietica. Oggi in Europa è stato ristabilito un ordine abbastanza democratico. Ma certamente fu anche per l'Europa occidentale una pagina molto triste della storia.
Come mai allora il regime sovietico è diventato un regime totalitario come quello nazista?
Il regime totalitario in Unione sovietica arrivò alla fine degli anni 20. I bolscevichi e i comunisti non riuscirono a gestire il problema della maggioranza, costituita dai contadini nel Paese, e la Nuova politica economica, con lo sviluppo della proprietà agricola, di piccole industrie, persino di approvvigionamento di pane in città. I bolscevichi tendenzialmente propendevano per la violenza, e decisero di risolvere questi problemi con la violenza. La violenza sui contadini. Stalin diede vita alla politica di confisca del pane in campagna. Liquidò la parte più ricca della popolazione contadina, i kulaki.
Spedì i contadini nelle fattorie collettive. Oggi ci chiediamo dove andrà finire l’America e non lo sappiamo. Può essere che continui sulla strada del nazionalismo. Lungo la strada del razzismo, persino. Molto dipende dalla classe dirigente e dalle strade che deciderà di prendere. E se saranno le giuste vie d’uscita. Negli anni 20 i bolscevichi non riuscirono a trovare delle buone vie di uscita e proseguirono per la strada del totalitarismo. In Italia fu lo stesso. Oggi gli Stati uniti si trovano davanti a questi problemi. Mentre l’Europa, in un modo o nell’altro, è una parte del mondo più felice di quello che si pensi.
Oggi i suoi libri vengono letti dall’Europa alla Cina e hanno una grande importanza. Che ruolo è il suo nella storia? Non lo sopravvaluterei. Le persone come me che lavorano sulla storia, devono semplicemente studiare i fenomeni che hanno intorno e analizzarli. Trovare delle soluzioni abbordabili. Il mio compito è continuare ad analizzare quanto accade nel nostro paese in maniera spontanea, senza l’intervento dello Stato. Ci sono dei processi spontanei. Bisogna saperli analizzare, guardarli da diversi punti di vista. Ad esempio la concorrenza tra lo Stato e le compagnie. Tra imprenditori stranieri e russi. L'Italia ad esempio ha aperto un numero significativo di fabbriche e il 40% degli elettrodomestici in Russia vengono prodotti in quelle fabbriche. Vuol dire che c'è concorrenza tra compagnie russe e italiane. E da questo bisogna trarre delle conclusioni: è il mio compito di storico. Se sono giuste o no, si decide attraverso la discussione. Bisogna anche cercare di partecipare alla vita politica, quando si scelgono ad esempio i candidati. Il nostro ruolo non è così grosso. Anche perché molto spesso le cose accadono spontaneamente e non si possono prevedere. Ma in ogni modo il ruolo degli storici e dei sociologi è tentare di analizzare e dare consigli. Definire una teoria.
Ma se i suoi scritti venivano proibiti in passato, qualche ruolo avranno pure avuto.
Io non potevo avere alcuna influenza. C'era un regime totalitario. E il vertice non guardava sicuramente a quello che succedeva all'interno della scienza. Oggi invece il potere ascolta il parere degli scienziati e degli storici. E gli storici hanno un qualche significato per il potere, forse non così grande. Già più volte il presidente Putin ha raccolto intorno a sé degli storici con a capo Aleksandr Chubarian (all’epoca direttore scientifico dell’Istituto di storia dell’Accademia delle Scienze russa, ndr). Sono stati invitati nell'ufficio di Putin e con loro Putin si è confrontato. Su come creare i nuovi libri di storia, ad esempio. Come considerare alcuni fenomeni del passato. Come analizzare la guerra civile. Come rivedere Pietro I o Ivan il terribile. Lo stesso presidente russo non ha idee preconfezionate. Non è un ideologo. Non è uno storico, lavorava nei servizi segreti. E non conosce così approfonditamente tali questioni: quindi si è confrontato con gli storici. Il potere sente che ha bisogno di ascoltare il parere dell’intellighenzia. E questo è un bene. Certo non c’è un’influenza enorme, ma sicuramente maggiore rispetto al passato, quando veniva vissuto con grande fastidio se non peggio.
Nei suoi incontri con Putin, cosa le chiese il presidente russo?
La prima volta mi chiese di fare una relazione per i generali del Servizio di Sicurezza Federale (Fsb) su Andropov per gli 85 anni dalla nascita. Io avevo scritto un libro su di lui. In sostanza Putin mi chiese di spiegare chi era Andropov e in che cosa si era distinto. Poi mandai a Putin tutti i miei libri, compresi quelli che ho scritto proprio su di lui. Mi ringraziò, ma non mi pose domande su di essi. Mi chiese semplicemente di cosa io avevo bisogno e cosa poteva fare per me. Si mise a leggere i miei libri e mi spiegò: “io non leggo tutto, ma alcuni passaggi, perché non ho molto tempo”.
E allora può farle anche Panorama la domanda che le fece Putin? Chi era Andropov? In effetti durò poco, se ne parla poco, eppure...
Fu un leader sovietico, non un democratico e neppure un corrotto. Si spese contro la corruzione e per il rafforzamento della disciplina. Fu un politico di passaggio, non si può parlare di un’epoca Andropov, perché rimase al potere solo un anno e mezzo. E in questo periodo spesso era malato. Quindi non lasciò un’eredità. Ma ebbe successo a capo dei Servizi di sicurezza e seppe ristabilire l’autorità su di essi. Quella stessa che dopo Stalin e Berja si era persa. Per questo è molto ammirato in quegli ambienti. Ma anche tra la popolazione. Perché riportò l’ordine e viene ricordato per questo. Viene ricordato come un leader forte. Ma nella storia dell’Unione sovietica non creò una vera dottrina. Fu segretario del partito, fu diplomatico, ambasciatore in Ungheria, fu presidente del Kgb e in questa carica condusse una lotta contro i dissidenti ma non come accadde prima di lui. Usò in questo senso metodi più morbidi. Ma noi storici di lui parliamo poco.
Abbiamo parlato molto del passato. Come si immagina il futuro del suo Paese?
Vorrei vederlo più felice. Vorrei un’economia, un’agricoltura, una produzione industriale più sviluppate. Molte persone vivono nella povertà. La mia famiglia non si può permettere molto. Mio figlio si è ammalato. Essendo un imprenditore, era quello che tirava avanti la baracca. Ora vive grazie a una pensione di invalidità. Per noi ora è difficile. Vorrei che le mie nipotine trovassero un lavoro e si realizzassero. Per ora siamo un Paese in via di sviluppo, in corsa e non ci possiamo permettere lussi. Uno sviluppo tranquillo.
Purtroppo abbiamo dei rapporti difficili con l’Ovest. C’è una forte pressione sulla Russia. Tra i Paesi europei abbiamo davvero buoni rapporti solo con la Finlandia, l’Ungheria e l’Italia. Vorrei invece che Mosca avesse rapporti buoni con tutti. Con l’America. E invece guardano a noi come la nuova Unione sovietica. Come una minaccia per l’Ovest. Ma la Russia vuol semplicemente sviluppare le sue forze nello spazio euroasiatico. Non siamo più una superpotenza e non ci sono piani di rivoluzione mondiale. Abbiamo un ruolo ben più timido e vogliamo semplicemente godere di buone relazioni. Ma non troviamo comprensione in questo.
Vorrei che ci liberassimo dalle pressioni e facessimo capire a tutti che non abbiamo grilli per la testa.