Lifestyle
July 31 2018
Cosa significa correre? Resistere a se stessi e al mondo, raggiungere qualcosa, forse scappare da qualcos’altro: tutti questi elementi sono presenti nel memoir del corridore Markus Torgeby, Running wild (Utet, 2018).
Torgeby ripercorre la sua vita dall’infanzia, a partire dal giorno in cui sua madre è andata in ospedale perché le sue gambe non rispondevano più al suo cervello. Dopo la diagnosi di sclerosi multipla, la vita di Torgeby si regola su una polarità immobilismo-movimento che il lettore rivive molto potente tra le pagine del libro: l’immobilismo di una vita famigliare che inevitabilmente, dolorosamente, si cristallizza ogni giorno di più, e il movimento della fuga verso la vita che il giovane Markus le oppone.
La corsa, disciplina in cui Markus, studente mediocre, eccelle, diventa per il ragazzino svedese uno sfogo, un modo per tenere sotto controllo se stesso e il mondo esteriore, per sentire le sue gambe doloranti che pure funzionano, per sfidare i suoi limiti di resistenza.
Quella a cui il lettore letteralmente assiste (il testo ha una potenza immaginifica e descrittiva davvero forte, ed è impossibile non immaginare i luoghi e le situazioni in cui si muove il protagonista) non è la fulgida storia di un talento, ma una vicenda di fatica e blocchi emotivi che, poco a poco, vengono sciolti.
La fuga, che sembra il principale motivo per cui Markus all’inizio del libro ama correre, si trasforma via via in una sempre più consapevole ricerca di stabilità, in una libertà che non è data solamente dall’attraversamento dello spazio esterno, ma dal dominio di quello interiore. Una libertà che, tuttavia, può venire raggiunta solo a un costo molto alto: il passaggio obbligato attraverso le paure – in particolare la paura di non farcela – che dominano l’animo umano a prescindere dalle capacità individuali, espresse o meno.
Quando con un infortunio cambia tutto, Torgeby sceglie se stesso e questa scelta passa per la solitudine e la natura, con tutte le sue contraddizioni. Torgeby va a vivere nei boschi, all’aria aperta ne sopporta il clima e le asperità, si scalda col fuoco, si lava nei ruscelli, dorme nel sacco a pelo. Resta nella foresta anche con l’inasprirsi dell’inverno, con la neve che cade e le rigide temperatura nordiche sempre più basse. Ci sono vari teorici delle terapie back to nature, del ritorno alla natura per lenire i mali dell’animo, per ritrovare un equilibrio a contatto con l’essenziale. Torgeby, che in quel periodo è ancora uno studente universitario, fa una cosa simile senza saperlo.
E qui, tra gli alberi, Markus riprende a correre. La riduzione delle necessità al loro nucleo più essenziale ha sortito l’effetto desiderato: tornare di nuovo a respirare, sentirsi libero e al contempo estremamente radicato, nel qui ed ora della vita e nel qui ed ora della corsa.
Running wild non è un libro motivazionale, non aspira a esserlo, ma la storia che racconta non può che ispirare il lettore. Sia chiaro, il messaggio non è quello da articolo della domenica di mollare tutto e perdersi per montagne o deserti, bensì quello di riscoprire la bellezza della sospensione nell’attimo. La corsa, d’altronde, è proprio questo: una sequenza di attimi sospesi, una costante presenza dello spirito e del corpo nel qui e ora, battito dopo battito della suola sul selciato.
Markus Torgeby
Running wild
Utet, 2018
188 pp., 16 euro