La Russia ha messo nel mirino l'Estonia, il punto debole ad oriente della Nato

C’è da capirli gli estoni, dei circa 335 km di confine che la piccola nazione ha con la Russia, oltre la metà sono costituiti dal lago Peipus e dalle sue diramazioni. Una geografia che potrebbe soltanto rallentare un’avanzata, ma non fermarla. Il restante confine, chiuso dai russi nel febbraio scorso adducendo motivi di ristrutturazione delle strade, è motivo di preoccupazione per una ancora poco probabile – per fortuna - invasione. A scanso di ribaltoni al Cremlino, l’Estonia si candida quindi a diventare il confine nord del nuovo “muro” che separerà i due blocchi. Non a caso il primo febbraio scorso le autorità di Tallinn avevano affermato d’aver ricevuto una nota ufficiale dalla Russia in cui si informava che il valico tra la cittadina estone di Narva e quella russa di Ivangorod sarebbe stato chiuso fino a dicembre 2025 ma soltanto ai mezzi motorizzati, mentre quello pedonale sarebbe rimasto aperto.

Ex stato sovietico e oggi sostenitore dell'Ucraina nella sua guerra con Mosca, tanto da essere tra i più attivi fornitori d’aiuti (in proporzione al numero di abitanti, circa 1,4 milioni in tutto), l’Estonia dispone di altri cinque valichi che per il momento dovrebbero rimanere aperti. Tuttavia, i servizi segreti estoni, in un rapporto annuale trasmesso al governo di Tallin proprio lo scorso febbraio, sostengono che Mosca intende rafforzare le sue truppe lungo il confine con gli Stati baltici preparandosi per un “potenziale conflitto con la Nato entro il prossimo decennio”. Con tali presupposti l’Estonia ha aumentato le spese militari dal 2,85% al 3% del proprio Pil e avviato le procedure per arruolare nuovi soldati. Così insieme con la Polonia, Estonia e Lettonia stanno invitando tutti gli altri Paesi europei a fare altrettanto, dal rimettere l’obbligo del servizio militare fino all’acquisizione di moderne armi anticarro come i missili Eurospike basati sul Rafael Spike israeliano, dotarsi di sistemi antinave Blue Spear a medio raggio (poco sotto i 300 km) come di cannoni semoventi da 155 mm K-9 acquistati dalla Corea del Sud. I sistemi radar attuali, seppure da aggiornare, sono comunque inseriti nel sistema Balti-net, e sono americani, ovvero i Lockheed-Martin Fps-117 a lungo raggio schierati nelle basi di Kellavere (nel nord del Paese) e Amari (a nordovest), dove c’è anche un radar Asr-8 a medio raggio e dove sorge la base militare nella quale sono presenti dal 2014 velivoli di forze occidentali impegnati nella campagna di sorveglianza del Baltico (Nato Baltic Air Policing Patrols), e in altre iniziative a protezione del confine nord dell’Alleanza. Qui sono apparsi, negli anni, dagli F-16 olandesi ai Typhoon inglesi e tedeschi, fino agli F-22 e F-35 statunitensi. Un “bersaglio primario” per l’eventuale attacco russo.

Vista da Mosca, questa politica significa che dalla Polonia alla Svezia, dalla Finlandia all’Estonia appunto, tutto il confine rappresenta una possibile minaccia, poiché oggi Lettonia, Lituania ed Estonia sono paesi europei e come tali alleati dell’Ucraina, ma hanno lo svantaggio di avere con la Russia ( e nel caso lettone la Bielorussia), confini diretti. Le implicazioni sociali sono enormi, si pensi, per esempio, che chi in Polonia, Estonia, Lituania, dalla caduta dell’Unione Sovietica a oggi è riuscito a risparmiare e ad arricchirsi quanto basta, spesso viene in Italia a comprare immobili per impegnare soldi che non vuole rischiare finiscano nelle tasche di Mosca nel caso d’invasione.

Così l’alleanza tra Tallin, Riga e Vilnius firmata all’inizio dell’anno prevede la realizzazione di una linea di difesa comune del fronte orientale della Nato nei confronti di Russia e Bielorussia, tanto che l’Estonia sta realizzando una vasta serie di bunker (qualche centinaio) lungo il suo confine. Posto che un’invasione russa da quella parte sarebbe oggi una follia strategica, perché Mosca dovrebbe ammassare truppe senza più averne a sufficienza per gestire la crisi ucraina, resta che il Cremlino sta assistendo a un rafforzamento rapido degli assetti militari e potrebbe facilmente gridare al pericolo invasione. Anche se poi i generali russi preferirebbero certamente usare i missili e sparare da unità navali in navigazione nel Mar Baltico per annientare le poche difese della piccola nazione. Putin sa bene che l’Estonia partecipa a diversi programmi europei per la Difesa, come Euroguard (droni vanali armati), e altri per la sicurezza cibernetica, ma anche che le Eesti kaitsevägi (Forze armate estoni) non rappresentano certo un problema per l’esiguità dei numeri. La Merevägi (Marina militare) è in realtà più specializzata nella rimozione delle mine (oltre 80.000) che durante le due guerre mondiali sono state disseminate nel Baltico, mentre la Eesti Õhuvägi, l’Aviazione, conta su pochi esemplari di addestratori di costruzione ceca Aero L-39 Albatros, su un velivolo da trasporto Pzl Mielec M-28 (un bimotore a turbina polacco che altre nazioni usano per il lancio di paracadutisti, infatti è stato donato dagli Usa) e da qualche elicottero civile Robinson R44. La difesa antiaerea, prima degli accordi che abbiamo citato qualche riga più in alto, prevedeva soltanto dei cannoni antiaerei sovietici Zu-23 e missili Mistral. In termini di munizioni, per Putin colpirle sarebbe come allungare la guerra di due giorni. Ma poi invaderle sarebbe tutta un’altra cosa.

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