Dal Mondo
February 28 2022
Oltre sette ore di negoziato che hanno tenuto il mondo col fiato sospeso, poi la notizia: “Le trattative si sono concluse”. Ma è solo una pausa, quella che riguarda i colloqui tra Russia e Ucraina in corso in Bielorussia, nella regione di Gomel. Il dialogo proseguirà nei prossimi giorni, in una sede diversa da quella iniziale. Ci si sposta al confine con la Polonia, per le prossime sedute. Ciò fa supporre che l’Ucraina abbia ottenuto una sede meno “ostile” per i negoziati e, quello che appare come un piccolo segnale positivo, si unisce alla dichiarazione del negoziatore russo Medensky, che ha annunciato come nel corso dell’incontro siano stati individuati “alcuni punti su cui è possibile trovare un terreno comune”.
Un’indicazione che lascia scettici, visto che la lettura da parte ucraina è stata ben diversa. “I russi, purtroppo, hanno ancora un punto di vista molto prevenuto del processo distruttivo che hanno lanciato”, è quanto osservato da Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente Zelensky che ha sottolineato le difficoltà emerse durante i negoziati. Quel che è certo è che le due delegazioni, guidate rispettivamente dal ministro della Difesa Oleksii Reznikov, fedelissimo di Zelensky e, appunto, dal consigliere di Putin Vladimir Medinsky, ex ministro per la Cultura, non partivano dalle premesse migliori.
In realtà, nessuno sembrava avere intenzione di cedere di un passo, con il presidente Zelensky che chiedeva l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e quello russo, Putin, che bombardava tutto il tempo il Paese assediato, per continuare a mostrare i muscoli e, soprattutto, per “avvertire” sulle possibili conseguenze di un fallimento negoziale. Sul tavolo allestito al confine con la Bielorussia ognuna delle parti ha poggiato, del resto, il suo “carico da novanta”. Il presidente Zelensky, nelle ore precedenti l’inizio dei lavori, lo aveva fatto appunto chiedendo l’immediata accettazione della domanda del Paese di entrare nella Ue. Richiesta “gelata” dalle cancellerie europee, probabilmente per non distruggere completamente la già remota possibilità di arrivare a un faticoso accordo.
Un “sì” prima del tavolo avrebbe certo rischiato di farlo saltare e sarebbe stato interpretato come una inaccettabile provocazione, irritando Mosca e innescando una nuova reazione a catena. Avallabili nell’immediato sono risultate invece le istanze ucraine di cessate il fuoco, anche se subito dopo la conclusione della prima giornata di trattative un bombardamento ha squassato la città di Kiev, gettando un’ombra sui presunti spiragli aperti in Bielorussia secondo Mosca. Pesanti anche le richieste che, secondo indiscrezioni, sono arrivate da parte russa e che Putin aveva già riassunto in tre punti durante una telefonata con il presidente francese Macron. Ma si tratta di istanze che l’Ucraina ha sempre ritenuto irricevibili, ancora prima di sedersi tra i delegati. “Non cederemo nessun centimetro del nostro territorio”, aveva messo le mani avanti il presidente Zelensky, prevedendo le possibili “trappole” e dichiarando apertamente di non avere nessuna fiducia nell’esito positivo del dialogo, ma di volerci comunque provare perché “nessun cittadino deve pensare che io non abbia fatto di tutto per fermare la guerra”.
Come largamente ipotizzabile, proprio sulle pretese territoriali si basano almeno due dei tre “punti” lanciati sul tavolo da Mosca: il riconoscimento ufficiale della Crimea come “porzione” della federazione russa, la concessione di ampia autonomia ai territori separatisti del Donbass e, su tutti, l’argomento che ha costituito il principale “casus belli” nell’escalation della violenza. Putin, tramite la sua delegazione, ha fatto sapere che l’Ucraina deve dare garanzie della sua neutralità, magari inserendo una clausola di non adesione alla Nato direttamente nella Costituzione. Per arrivare a una conclusione vera, i tempi si allungano. Del resto, i temi sul tavolo sono pesantissimi e già il capo della rappresentanza russa aveva anticipato: “Ci prenderemo tutto il tempo necessario per le trattative”. Intanto, i delegati sono tornati in Patria, per il momento, con un nulla di fatto e per procedere a consultazioni in prospettiva dei prossimi incontri.