Ryan Gosling, tutto il mondo è Dams di Bologna
Dev’esserci un Dams anche a London, Canada, o comunque dalle parti dov’è nato Ryan Gosling. E lui deve averlo frequentato, anche solo, che so, il triennio. Perché ha proprio tutto della tesina di diploma, questo Lost River con cui debutta alla regia – al Festival di Cannes: solitamente le tesine di diploma le vedono giusto i parenti, e manco loro.
C’è, su sfondo di paesone di case di legno tutte ipotecate, un ragazzino disagiato che deve sempre stare a badare al fratellino piccolo, colpa della mamma tettona (è Christina Hendricks) che va per night in cerca di lavoro. C’è poi una ragazzina con un topo sempre appresso che lo inizia alle leggende del luogo, a suo tempo raccolte da una vecchia che vive dentro una puntata di Sepolti in casa ed è truccata come Norma Desmond. La vecchia è Barbara Steele, più Dams di così.
C’è anche un pazzo maniaco con giacche tipo Raf Simons (nel paesone di case di legno) su colonna sonora tra i Goblin e Drive, un bancario che dice di essere sordo ma poi ci sente pure in discoteca (la sceneggiatura la firma Gosling medesimo, mai che si facciano dare una mano da qualcuno, ’sti ragazzi); soprattutto, c’è il club Sadismo (sic), dove Eva Mendes finge di scorticarsi viva tipo installazione di Marina Abramović, più Dams di così/2.
Il Dams ultimamente sforna un sacco di giovani registi. L’anno scorso a Venezia era passato James Franco, che apriva il suo film con uno che fa la cacca in un prato: sooo arty. Me li vedo insieme in pausa-sigaretta nel chiostro, dopo la lezione di “Tecniche del linguaggio nei video di Lana Del Rey”. «Ma tu che ci metteresti, in quella scena là?», chiede Ryan. «Mah, prova a piazzarci un neon a forma di fenicottero: a Cannes te lo prendono di sicuro», risponde James.
Io sul fenicottero al neon sono uscito: non è detto che alla fine non abbiano fatto la cacca pure qui.
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