Ecco Sagittarius A, il buco nero della nostra Galassia
Sono state le onde radio millimetriche ricevute dallo Event Horizon Telescope (Eht) a catturare una prima immagine storica del buco nero supermassiccio presente al centro della nostra galassia.
La squadra dello Eht è composta da oltre 300 ricercatori appartenenti a 80 istituzioni, i quali hanno eseguito più di cinque milioni di simulazioni con super computer per arrivare a capire che c'è un buco nero nel cuore della Via Lattea e che questo si nutre di idrogeno gassoso. “Fino ad ora non avevamo l'immagine diretta per dimostrare che questo gigante gentile al centro della nostra galassia è un buco nero”, ha detto Feryal Özel, astrofisico dell'Università dell'Arizona, durante una conferenza stampa della National Science Foundation tenutasi giovedì 12 maggio, che spiega: “la foto mostra un anello luminoso che circonda l'oscurità ed è il segno rivelatore dell'ombra del buco nero. Un risultato sbalorditivo”. Già nel 2019 lo Eht aveva fatto notizia quando era riuscito a costruire la prima immagine in assoluto relativa all'orizzonte degli eventi di un buco nero, quello al centro della galassia Messier 87. Contemporaneamente, il telescopio stava però anche osservando Sagittarius A, ovvero il buco nero super massiccio della Via Lattea, seppure il lavoro necessario per elaborare i dati fosse molto più complesso poiché l'atmosfera carica d'acqua della Terra può assorbire le onde radio su cui si basano le operazioni dello Eht. Inoltre, gas e polvere presenti nei 27.000 anni luce intermedi tra noi e il Sagittarius A possono disperdere i segnali e offuscare l'immagine. Infine, mentre il buco nero di M87 ha un appetito vorace e appare luminoso perché sta consumando molto gas, il flusso di materiale che entra in questo è molto più ridotto. I buchi neri sono gli oggetti più densi dell'universo e la loro gravità è irresistibile, al punto che entro una certa distanza da un buco nero nemmeno la luce può sfuggire. Gli scienziati chiamano questo punto di non ritorno “orizzonte degli eventi”. L'Eht è in grado di vedere la luce, sotto forma di onde radio, dal gas caldo che vortica intorno al bordo dell'orizzonte degli eventi. Il buco nero si nutre del materiale nel suo ambiente circostante, che si tratti di nubi di gas, asteroidi o persino stelle che potrebbero vagare troppo vicino.
Gli scienziati possono però dire che il Sagittario A sta morendo di fame.
“Vediamo solo un rivolo di materiale che arriva fino al buco nero”, ha detto l'astrofisico di Harvard Michael Johnson durante la conferenza stampa, “In termini umani sarebbe come mangiare un chicco di riso ogni milione di anni”. Il motivo per cui l'accumulo di gas nel Sagittarius A è così lento è stato un enigma per molti anni, ha detto il premio Nobel Andrea Ghez, astrofisico dell'Università della California, “ci sono molti misteri associati al flusso di accrescimento, in termini di perché sia così debole”, ha aggiunto. Ghez vinse il premio Nobel per la fisica nel 2020 per aver misurato la massa di Sagittario A osservando i movimenti delle stelle in orbita vicino ad esso, calcolando insieme al suo team una massa pari a 4,3 milioni di volte la massa del nostro sole.
Si tratta quindi della più grande prova mai realizzata della teoria della relatività generale di Albert Einstein. “È un ottimo laboratorio per cercare di capire come funziona la gravità in prossimità di un buco nero supermassiccio”, ha concluso Ghez.
Il buco nero di Messier 87 è molto più grande di Sagittarius A, quindi ci vogliono giorni prima che i cambiamenti diventino evidenti, mentre quest'ultimo è molto più piccolo e, mentre il materiale si agita intorno ad esso, la luminosità dell'anello può cambiare in pochi minuti, quindi è possibile studiare quanto accade attorno all'orizzonte degli eventi.
Da oggi quindi cambiano alcune cose: questa immagine del Sagittario A può ora fungere da modello per altri buchi neri quiescenti nell'universo, poiché è noto che nell'uiverso ci siano molti più buchi neri simili a questo piuttosto che a quello visibile nella Messier 87. La tecnologia alla base di questo risultato si chiama Very Long Baseline Interferometry e consente agli astronomi di combinare i dati dei radiotelescopi di tutto il mondo come se fossero un unico grande telescopio, rendendo di fatto l'Eht il più grande oggi attivo sulla Terra. E nel momento in cui sono state effettuate le osservazioni che hanno portato a questa foto, i dati sono giunti da otto differenti impianti, come se un singolo telescopio avesse un'apertura di 10.700 chilometri di diametro. Le osservazioni future si concentreranno sull'ottenere immagini più nitide per comprendere meglio la fisica della turbolenza nell'anello attorno al buco nero, nonché come questo (ex) corpo celeste influisce sull'ambiente della galassia che lo circonda. Ricordiamo infatti che i buchi neri si formano per collasso di stelle massicce, ovvero con masse oltre venti solte quella del nostro sole. Ora per poter fare di meglio sarebbe necessario ampliare l'apertura dello Eht, ovvero aggiungere altri impianti alla rete attuale, composta da una decina radiotelescopi, dei quali tre in Europa e otto distribuiti tra America Latina e Stati Uniti.
Per saperne di più: Event Horizon Telescope
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