Tecnologia
July 22 2020
Da almeno un decennio è considerato un "guru" dell'informatica eppure all'anagrafe ha solo trent'anni. Salvatore Aranzulla lo conoscono tutti, non c'è italiano che non sia finito sulle sue pagine web per risolvere qualche problema tecnico, dalla configurazione di uno smartphone al collegamento di una stampante. Il sito, che porta il suo nome, è tra i più visitati in Italia tanto da rappresentare una storia imprenditoriale d'esempio per molti giovani che lo seguono un po' come un oracolo. Il suo libro "Metodo Aranzulla" è stato un successo editoriale e i convegni, gli "Aranzulla Day" sono seguiti da migliaia di persone. Abbiamo chiesto al divulgatore e tecnologo quali sono le sfide che l'Italia deve affrontare per colmare l'evidente gap con gli altri paesi nell'ambito della cultura digitale.
Da dove nasce la tua passione per l'informatica?
«Mi sono avvicinato all'informatica nel 2000, all'età di 10 anni perché ero rimasto affascinato dal computer che aveva comprato mi cugino. All'epoca ce n'erano pochi in circolazione e dove abitavo io, in un piccolo paese della Sicilia, era una cosa davvero rara. Quel PC usava ancora il DOS, funzionava con stringhe di comando, e per me aveva un fascino speciale. Insomma, ne volevo uno anche io ma ho dovuto faticare un po' prima che i miei genitori decidessero di comprarmelo. Dal quel momento non mi sono più staccato dal computer e siccome nessuno in famiglia sapeva bene come funzionava e cosa poteva fare ho imparato tutto da autodidatta, giorno dopo giorno, utilizzando una vecchia enciclopedia a fascicoli dedicata dall'informatica che mi aveva prestato un amico di mio padre».
Sei nato in un piccolo paese siciliano e sei riuscito a emergere ormai come un vero vip, al di là dell'intuizione che hai avuto c'è qualche altro elemento che ha contribuito al tuo successo?
«Sono una persona molto timida e riservata nella mia vita privata ma in molti mi considerano un po' come un amico, qualcuno che c'è, che è sempre disponibile nel momento del bisogno. Insomma, ci metto sempre la faccia, non a caso il sito porta il mio nome. Forse questo aspetto mi ha dato una mano a diventare quello che sono oggi. E la riprova ce l'ho quando la gente mi ferma e mi ringrazia per essere riuscita a risolvere un problema o per aver fatto l'acquisto giusto seguendo qualche mio consiglio».
Soprattutto all'inizio dell'era di Internet, nei primi anni 2000, si diceva che il web avrebbe dato un'opportunità a tutti. È stato davvero così per te, e pensi che questa possibilità esista ancora?
«I tempi sono sicuramente cambiati, agli inizi dell'era digitale c'erano sicuramente più opportunità. Oggi il web è piuttosto saturo e io stesso in questo momento non creerei più un sito di tecnologia. Questo non vuol dire che non ci siano più possibilità per emergere, bisogna però puntare alle nicchie, ad argomenti più selettivi e verticali. Non si può neppure più pensare di fare soldi con la pubblicità online, come accadeva in passato, ma è necessario trovare altre forme di monetizzazione ad esempio vendendo prodotti, servizi e merchandising».
Sei un uomo che risolve problemi, problemi che evidentemente milioni di persone continuano ad avere ogni giorno, perché secondo te la tecnologia non ci è del tutto amica?
«Credo che il problema principale sia legato al fatto che oggi i dispositivi facciano troppe cose e che quindi la complessità aumenti in modo esponenziale. Se un dispositivo o un programma facesse solo un paio di cose bene o male saremo in grado di gestire la situazione, purtroppo però non è così. Paradossalmente si fa prima ad andare sul mio sito Aranzulla.it per trovare ad esempio come attivare l'hotspot dell'iPhone piuttosto che perdere tempo nel tentativo di risolvere la questione da soli».
Nei rating internazionali quando di sparla di alfabetizzazione digitale l'Italia esce sempre con le ossa rotte e il fatto che ogni giorno milioni di persone debbano ricorrere al tuo sito per venire fuori da qualche pantano tecnologico conferma che siamo indietro. E' davvero così?
«Qui la formazione riveste un ruolo fondamentale. Molte persone rimangono distanti dalla tecnologia semplicemente perché non la conoscono. Se si conoscessero le piattaforme informatiche si avrebbe più consapevolezza, sia delle potenzialità che queste offrono, sia dei rischi. Questa formazione non può però avvenire in tempi brevi e non può essere risolta dalla risoluzione dei problemi di volta in volta, quando si presentano. E' necessario investire in questo tipo di conoscenza a scuola e nei luoghi di lavoro, anche attraverso percorsi specifici come ad esempio la patente europea per l'uso dell'informatica».
Il lockdown ha messo in evidenza le nostre carenze tecniche e infrastrutturali, pensi che questa occasione possa essere un'opportunità per accelerare e colmare i nostri gap?
«Sicuramente ha fatto capire a tutti quanto la tecnologia sia importante nella vita di oggi e quando essenziale sia avere una conoscenza di base. Ha stimolato un cambio di mentalità ma ora bisogna alimentare questo stimolo».
Cosa pensi dello smart working, ritieni che possa essere una modalità di lavoro efficace e utile? Vedi dei rischi?
«Qualcosa sta cambiando. Me ne sono reso conto anche guardando quello che è successo in questi ultimi tempi sul mio sito che in un qualche modo funziona un po' come osservatorio di questi fenomeni. Durante il lockdown abbiamo avuto un'impennata di ricerche di temi correlati allo smart working come ad esempio la condivisione dei documenti e la possibilità di lavorare a più mani sui file. Però al tempo stesso questo dato ha evidenziato come le persone non fossero adeguatamente preparate e formate per questa modalità di lavoro. C'è un tema anche di percezione. Spesso si ritiene di saper usare strumenti elementari come un documento di Word o un foglio di calcolo, ma non è così. E oggi la situazione è anche più paradossale perché si crede che siccome si è capaci ad usare i social, Instagram o TikTok, allora si è anche capaci di fare altro. La formazione, torno a ripetere, è fondamentale. La conoscenza dell'informatica dovrebbe essere ritenuta essenziale al pari di altre nozioni».
La scuola ha quindi un ruolo essenziale, ritieni che la nostra sia all'altezza di questo compito?
«Il lockdown ha evidenziato molti problemi già noti della nostra scuola. Quello che è successo non mi ha sorpreso. Non solo c'è un problema di formazione degli studenti, ma ovviamente anche degli insegnanti. Inoltre c'è un tema infrasttuturale e di metodo. Abbiamo visto come la didattica a distanza sia stata gestita in modo totalmente diverso da istituto a istituto, senza l'uso di piattaforme e di strumenti comuni, e senza dei modelli di apprendimento condivisi e validati. Questa situazione merita attenzione e necessita di un progetto chiaro».