Economia
September 10 2018
Se una famiglia è molto indebitata, per esempio è impegnata con una banca a pagare un mutuo per l'acquisto di un appartamento, ha senso che la famiglia chieda margini aggiuntivi di indebitamento? La risposta di senso comune è ovviamente no, a meno che non sia certa di un'impennata del suo reddito.
Eppure è proprio questo il singolare atteggiamento assunto in Europa e sui mercati dal governo Di Maio-Salvini. Ed è un atteggiamento assunto con particolare combattività, additando proprio nella reazione dei mercati, che intanto c'è stata, il segno che sarebbe in atto e diverrà sempre più aggressivo un presunto complotto degli immancabili "poteri forti" contro il governo.
I quasi 80 miliardi di capitali esteri defluiti tra maggio e giugno, per sette ottavi scappati dai titoli del nostro debito pubblico, vengono intesi non come la ovvia risposta ai tanti annunci ispirati all'irresponsabilità venuti dal governo, ma come una conferma che, al contrario, quella in atto è una svolta tanto fondata da essere avversata e temuta.
Lo Stato non è una famiglia o un'azienda, si dirà: ha immense possibilità di fare quel che vuole, e la dipendenza dal vincolo esterno, europeo e dei mercati, è una frottola da sconfessare. Questi i due cardini di chi dal governo rilancia la sfida. Ma è proprio così? Intanto, quel che sembra finora fuori dal radar di questo singolare approccio è il contesto internazionale. Che conta eccome, visto che parliamo di mercati globali. Ed è un contesto nel quale il progressivo rialzo dei tassi d'interesse americani, quel che Trump vorrebbe contenere ma il governatore della Fed Powell tiene programmaticamente fermo, genera nel mondo un riorientamento verso i maggiori rendimenti statunitensi.
È ovvio che sia così, non un complotto: i mercati cercano non solo i maggiori rendimenti, in quel caso lo spread italiano che sale ci avvantaggerebbe, ma soprattutto i maggiori rendimenti abbinati alla minima possibilità di insolvenza o ristrutturazione del debito, ed è ovvio che gli Usa su questo diano certezze.
Questo è il quadro internazionale: e a ciò si devono accelerazioni di crisi in Paesi caratterizzati da squilibri strutturali, a cominciare dalla crisi turca. Perciò di qui a fine anno, quando Di Maio-Salvini dovranno varare la legge di bilancio 2019, i capitali saranno più dubbiosi e non più generosi verso i Paesi con troppo debito, pubblico, privato ed estero.
Ma torniamo all'Italia. I cosiddetti Piani B e C di cui esponenti della maggioranza hanno parlato dall'inizio del governo, e che hanno puntualmente fatto innalzare lo spread decennale dei titoli pubblici verso quota 300 sul Bund tedesco, si fondano in realtà su un'unica prospettiva. A parole, infatti, la sfida contro l'Europa per innalzare anche oltre il 3 per cento il rapporto deficit/Pil nel 2019 - sarà così, se si mettono insieme tutti gli annunci su reddito di cittadinanza, flat tax (quel che ne resta, si parla anche di tre aliquote ormai), riforma delle pensioni, concentrazione in un solo anno di tutti gli investimenti pluriennali, nazionalizzazioni su vasta scala (che implicano innalzamento dei costi di gestione diretti e subentro alle passività degli espropriati cioè più debito, per tacere del costo miliardario degli indennizzi a meno di voler diventare il Venezuela di Maduro) - si basa sulla volontà d'acciaio di obbligare l'Europa e la Bce a piegarsi. Secondo questa linea di pensiero, l'Europa dovrebbe ammettere che l'Italia è troppo grossa, con il suo 14 per cento di Pil dell'Unione, per rischiare su di lei la crisi dell'euroarea.
E la Bce dovrebbe proseguire nel suo programma di acquisti aggiuntivi del nostro debito pubblico, invece di limitarsi al rinnovo dei titoli detenuti oggi, per circa 380 miliardi a fine 2018, una volta che vadano in scadenza, come previsto dal criterio graduale della fine del Quantitative easing (Qe). Luigi Di Maio, Matteo Salvini e i loro consiglieri sanno benissimo che sono ipotesi così radicali da non avere la minima possibilità di avverarsi. L'hanno sempre saputo. La famiglia indebitata non fa cambiare regole alla banca da cui ha preso in prestito. E allora, poiché non pensiamo affatto che Di Maio e Salvini siano pazzi, vuol dire che la loro strategia della provocazione si basa su un unico presupposto. "Obbligare" a quel punto gli italiani, famiglie e intermediari finanziari, al subentro degli acquisti che non fossero rinnovati dagli intermediari internazionali, che detengono circa il 30 per cento del nostro debito. Oro alla patria, insomma. Dimenticando di dirvi che quella carta pubblica avrebbe alto rendimento per il solo fatto di valere meno.
Questa strategia in gergo tecnico si chiama non a caso "repressione finanziaria". E potrebbe diventare una colossale patrimoniale imposta ai privati, che genera fuga dei capitali internazionali e porta dritti dritti prima ai vincoli sui capitali, per evitarne la fuoriuscita, e poi ai depositi obbligati su quote di valore di un numero crescente di beni esportati e importati decisi dal governo, per proteggere la bilancia dei pagamenti. Non solo significa l'uscita dalla Ue, se come è ovvio dal punto di vista dei proponenti a quel punto dicessimo no all'intervento dei vincoli sulla nostra finanza pubblica previsti in caso di intervento del Fondo europeo salva-Stati. Diventeremmo un paria internazionale. Al costo di un impoverimento certo del Paese. Ma in nome di una presunta neo religione patria. Contraddetta brutalmente dalla richiesta di aiuti alla Cina o a Putin, in nessun caso senza vincolanti contropartite.
Ci pensino bene, prima della prossima legge di bilancio. Credere che una famiglia indebitata obblighi tutte le altre famiglie del circondario a farsi carichi dei suoi debiti funziona solo se si usa la forza. Ma finché resta il diritto di voto, chi s'impoverisce punisce brutalmente i responsabili. È il vero motivo per cui Lega e 5 Stelle hanno vinto le elezioni. Se avessero in mente quanto descritto sopra, per restare al potere le elezioni successive dovrebbero abolirle.
(Articolo pubblicato sul n° 38 di Panorama, in edicola dal 6 settembre, con il titolo "Numeri e regole non sono un complotto")