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January 22 2019
Questa rubrica è nata molti anni fa, nel 1990. A volerla era il direttore del Panorama di quel tempo, Claudio Rinaldi. Era un grande comandante e anche un uomo geniale, già insidiato dalla malattia che l’avrebbe portato alla tomba quando non aveva ancora cinquant’anni. Decidemmo insieme la testata, anzi la decise soprattutto lui dopo una mattinata di inutili dibattiti. Mi disse: «Voglio una parola sola e secca per far comprendere ai lettori che spacceremo droga pesante. Per esempio Bestiario». Gli obiettati che saremmo stati costretti a dare della bestia a un’infinità di politici che ci avrebbero querelati. Ma Claudio alzò le spalle e mi replicò: «Nessuno ci porterà in tribunale. Anzi tutti saranno felici di comparire ogni settimana su Panorama con la loro fotografia, per poi mostrare la pagina ai loro clienti».
Infatti andò così. Se non ricordo male, l’unica querela che mi raggiunse fu quella di un ministro socialdemocratico al quale dedicai appena una riga dicendo che aveva l’aria del guappo assonnato. Venni trascinato in tribunale e a salvarmi da una condanna furono due bravissimi avvocati romani che mi assistevano in quanto redattore di Repubblica.
Perché con il Bestiario di allora mi andò sempre bene? Penso che il motivo riguardi soprattutto la qualità dei politici di allora. Non mancavano di difetti, come è naturale che avvenga in tutte le democrazie del mondo. Ma erano tipi umani molto diversi da quelli odierni. La loro qualità numero uno era la sicurezza che mostravano a proposito del loro potere. Andreotti, Craxi, Fanfani, Berlinguer erano arcisicuri di durare nel tempo sino alla fine della democrazia italiana. E questo li aiutava a essere incuranti di quanto si scriveva su loro conto. Un giorno me lo spiegò un vecchio deputato democristiano: «Vede, dottor Pansa, la Democrazia cristiana è come la fattoria del curatolo Cicco. Ciascuno fa quello che vuole, ma senza dare nessun fastidio agli altri. E lo stesso accade in tutte le altre parrocchie politiche. È il trionfo del sistema e ci vorranno anni per spiantarlo».
Come posso non rimpiangere la Dc? Sono cresciuto, anche sotto l’aspetto professionale, sotto il suo regime. Un insieme di regole soffici, che non prevedevano il pugno di ferro, ma soltanto quello di latta, per di più avvolto in un guanto di lanetta. I «biancofiore» erano l’autoritratto dell’Italia. Si andava da una furia umana come Fanfani a signori che avrebbero fatto la loro figura nel più esclusivo club britannico. Devo citarne uno? Il senatore bresciano Mino Martinazzoli, da noi cronistacci denominato il Bel tenebroso dalle mutande lunghe.
Il panorama politico odierno, invece, mi dà nausea. La sua debolezza è certificata da un vizio sempre più diffuso: cercar di sembrare qualcun altro, perché essere quello che sei non ti piace e ti senti insicuro. Su questo terreno, per altro molto fragile, il campione è il ministro dell’Interno. Nel travestirsi, lui è un numero uno assoluto. Mi fanno sorridere, con simpatia, i capi di un sindacato dei vigili del fuoco. Questi generosi pompieri protestano perché il suddetto Salvini indossa sempre più spesso la giacca di chi fa un difficile mestiere al servizio della collettività.
Immagino che la loro protesta il Signor ministro l’abbia attaccata sopra il water del Viminale per farne, come si dice alla buona, la carta del cesso ministeriale. Del resto, anche il Burbero Barbuto non ha la forza di resistere a un antico vizio: quello di travestirsi, oggi da pompiere, domani da poliziotto, domani l’altro da guardia di finanza. E perché non da prete, da frate, da vescovo, da ammiraglio, ma anche da battona, da donnaccia, da maîtresse di un bordello? Poiché il piacere di travestirsi non ha limiti e sopporta qualsiasi fantasia, anche quella del cambio di sesso.
Una leggenda sostiene che l’ultima morosa del Salvini, la bella e brava Elisa Isoardi, non l’abbia lasciato con il due di picche in mano perché fosse stanca di stirare le camice del Signor ministro. Assolutamente no: la ragazza era stufa di dover passare le giornate a occuparsi dell’abbigliamento salviniano, sempre più straripante e senza limiti.
Il fatto è che la Repubblica italiana del 2019 è sempre più folta di signori vogliosi di travestirsi. L’ultimo, per il momento, è Luigi Di Maio, con Salvini il secondo vice presidente del Consiglio. Lui immagina di essere già il capo dei gilet gialli che stanno mettendo sottosopra la Francia di Emmanuel Macron. Prima o poi, si presenterà all’Eliseo per intimare al presidente d’Oltralpe di sloggiare e lasciare il suo incarico niente meno che a Beppe Grillo che si sente sottovalutato e rischia di andare in depressione.
Ma in casa nostra le occasioni per travestirsi non mancheranno mai. Un famoso maneggiatore di tangenti fingerà di essere un sant’uomo dedito al soccorso dei clochard. Un ragazzaccia che colleziona amanti andrà a vivere in un convento di clausura e lì riceverà i suoi spasimanti. Infine un politico di bell’aspetto, e qui non dirò a quale clan di partito appartenga, deciderà di rivelare la sua vera natura vestendosi da signora. E da chi verrà corteggiato? Da un super ministro, ovviamente. Che dovrà battersi in duello con un famoso giornalista, stanco di dover badare a ben tre amanti, donne vere con troppe pretese. © riproduzione riservata