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May 28 2018
È da ben prima del 4 marzo che Matteo Salvini fiuta aria di vittoria. Eppure, dal preciso momento in cui le urne si sono aperte e ne è uscito il risultato del suo 17%, reso ancor più dolce dalla conquistata leadership del centrodestra, il capo della Lega ha iniziato ad annusare profumo di trionfo.
La sua ultima mossa, e cioè riuscire a fare naufragare precocemente il tentativo di governo con il Movimento 5 stelle impuntandosi sul nome di Paolo Savona al ministero dell’Economia e ingaggiando su quel punto un braccio di ferro con il Quirinale che era evidentemente senza uscita, è stata la classica ciliegina sulla torta.
Sul nome del professore anti-euro sacrificato sull’altare dello spread, infatti, ora Salvini può giocare il fruttifero ruolo della vittima: vittima degli odiati “poteri forti” di Bruxelles e di Berlino; vittima di Sergio Mattarella e dei suoi veti; ma alla fine Salvini potrà dirsi vittima anche dei grillini e della loro palese inconsistenza e inadeguatezza politica.
A quel punto, il leader del Carroccio potrà andare a giocare la partita a carte delle elezioni anticipate di autunno con in tasca tutte e quattro le matte del mazzo, e fare l’en plein.
Dall’esperimento governativo giallo-verde, del resto, il suo “socio” Luigi Di Maio è uscito scornato, sconfitto, infragilito. È così anche perché l’elettorato grillino (che si compone di due quote quasi equivalenti di destra e di sinistra) di certo non può avere approvato e apprezzato il suo doppio giro di valzer, prima con il Partito democratico e poi con il Carroccio.
E infatti il candidato premier del Movimento 5 stelle è in grande difficoltà: lo dimostrano platealmente i suoi toni eccessivi sul capo dello Stato (l’impeachment non ha alcuna possibilità di passare in Parlamento, tanto meno alla Corte costituzionale), ma anche il nervosismo e l’irritazione che il leader del M5s mostra in tutte le occasioni.
Di Maio, del resto, si è visto scivolare definitivamente dalle mani l’occasione di andare al governo. E sa di non potere più aspettare: sa perfettamente che il compagno-antagonista Alessandro Di Battista gli sta con il fiato sul collo; sa che per ottenere una ricandidatura alle prossime elezioni dovrebbe ottenere dal Movimento una modifica alle sue regole interne (no al terzo mandato); sa anche che i suoi gruppi parlamentari (dove sono numerosi i senatori e i deputati che rischiano la sua stessa fine) non gli perdoneranno l’insuccesso e soprattutto la perdita di un ricco mensile.
Al contrario, ora Salvini può prendersela abbastanza comoda. Non fosse per il Molise, dove alle elezioni regionali di metà aprile ha dovuto accontentarsi dell’8,2%, la marcia della sua Lega è stata letteralmente trionfale. Il 30 aprile in Friuli Venezia Giulia il suo candidato Massimiliano Fedriga è stato eletto governatore con il 57% e passa dei voti, e il Carroccio ha incassato da solo il 34,9%. Il 21 maggio in Valle d’Aosta la Lega è passata dal nulla al 17%. E i sondaggi di questo piovoso fine maggio danno il suo partito al 25-26% a livello nazionale.
Anche per questo, quasi sicuramente Salvini resterà ben saldo all’interno dell’alleanza di centrodestra: al prossimo voto Forza Italia, che era uscita ridimensionata al 14% nelle urne del 4 marzo, potrebbe trarre nuova linfa e consenso dalla riabilitazione giudiziaria di Silvio Berlusconi e dalla sua piena candidabilità al Parlamento (nonché da un suo futuro ruolo ministeriale).
Insieme, Lega, azzurri e Fratelli d’Italia potrebbero quindi aspirare tranquillamente a un risultato superiore al 40-45% e a quel governo che il 4 marzo non erano riusciti a mettere insieme. A quel punto, Segio Mattarella dovrebbe inevitabilmente affidare l’incarico a un uomo dell’alleanza. E Salvini sarebbe lì, ad aspettare la sua grande rivincita.