La storia di Saman ci obbliga ad agire. Stop ai matrimoni combinati
Saman Abbas non è la prima e non sarà nemmeno l'ultima, purtroppo.
Tutti la cercano ma è quasi certo che non la troveranno viva perché gli elementi nelle mani degli inquirenti, la cui morsa si sta sempre più stingendo attorno ai presunti mandanti e gli autori materiali dell'omicidio, riconducono al peggiore dell'epilogo.
Il castello di bugie (Saman è in Belgio…) sta crollando tra tentativi di fuga (il cugino arrestato in Francia), testimonianze e mezze confessioni anche se non c'è ancora l'ammissione di colpa: i magistrati sono certi che quegli uomini con le pale ripresi dalle telecamere stavano recandosi ad occultare il corpo di Saman e le lacrime (di coccodrillo) del padre al rientro dello zio parlano da sé.
Di questa adolescente pakistana sono emblematici due scatti, uno con il velo tipico musulmano, struccata, con un sorriso tirato, le sopracciglia folte che quasi si sfiorano, gli occhiali, l'altro - un selfie postato su Instagram come una qualsiasi delle sue coetanee - davanti allo specchio, il cellulare sorretto da una mano affusolata con le unghie pitturate, un asciugamano in testa come dopo una doccia, un top scollato che lascia timidamente intravedere le curve dei seni, le sopracciglia curate, dimagrita, quasi provocante.
Chi è la vera Saman e quale delle due volesse essere nella vita vi sono pochi dubbi.
Come pochi potrebbero essere stati i dubbi degli uomini della sua famiglia che, in nome del rifiuto di un matrimonio combinato e dello stigma morale per la scelta di libertà della ragazza, avrebbero deciso di risolvere il problema a modo loro e in via definitiva.
Saman non è la prima e non sarà nemmeno l'ultima: prima di lei è toccato a Hina, una bella ragazza pakistana colpevole di voler vivere all'occidentale, fidanzata con un italiano, cameriera in una pizzeria, alla vista perfettamente assimilabile ad una qualunque delle ragazze di oggi, di cui emulava le mode, gli accessori, gli outfit.
E' indubbio che vi sia una sacca di resistenza culturale, più che religiosa, in moltissime comunità asiatiche e africane trapiantate in occidente, resistenza ad accettare l'assimilazione dei loro figli agli usi e costumi del paese che li ha ospitati e accolti, tanto più quando gli aneliti di modernità coltivati da queste seconde generazioni si traducono nel rifiuto di un destino già scritto.
Il destino di una combine con un uomo scelto dalla propria famiglia, un uomo che non conoscono, che non accettano, che sanno già che spegnerà i loro sogni, un uomo che non possono amare e nemmeno vogliono conoscere.
Il matrimonio forzato è antico come il mondo: la mitologia greca narra le vicende di rapimenti di donne per iniziativa di tanti dèi e semi-dèi dell'Olimpo, come avvenne per Persefone da parte di Ade, di Dafne da parte di Apollo, di Auge da parte di Eracle.
Nella cultura tribale, ancora oggi refrattaria al mondo che evolve ed ai diritti fondamentali dell'uomo, inutilmente declamati urbi et orbi, il rapimento è sostituito da un patto di natura familiare, dove il padre trova un accordo con il futuro sposo, spesso molto più grande, e le figlie non hanno scelta.
Se questo fenomeno ci interessa relativamente quando avviene nei paesi d'origine, per l'atroce logica riassunta nell'adagio 'lontano dagli occhi, lontano dal cuore', storie come quella di Saman tengono banco nella cronaca e toccano le corde del nostro sdegno se capitano a pochi chilometri dalle nostre rassicuranti mura domestiche.
Una sorta di principio di prossimità della nostra capacità di indignarci.
L'occidente che pur ha principi e leggi astrattamente idonee a contrastare queste forme di schiavitù, risulta spesso impotente nell'impedire che i matrimoni combinati avvengano o, ancora peggio, che in caso di rifiuto la predestinata venga sacrificata, come accaduto – quasi certamente - a Saman.
Le polizie di Inghilterra, Francia, Germania e Svizzera registrano centinaia, se non migliaia, di unioni di questo tipo, nella stragrande maggioranza dei casi accettate dalle vittime con arrendevole rassegnazione.
Concezione atavica della condizione femminile che anche l'Unione delle Comunità Islamiche in Italia si è affrettata a condannare rilevando che vicende come queste "non possono trovare alcuna giustificazione religiosa".
La soluzione al problema è quindi solo ed esclusivamente culturale, legata all'evoluzione, al ricambio generazionale e alla speranza che, almeno sotto questo profilo, le future 'elette' sappiano opporsi, chiedendo aiuto allo Stato che, a sua volta, ha il dovere di attivarsi in modo efficace per strappare le "future promesse spose" dalle mani dei loro aguzzini.
Saman ci era quasi riuscita.
Poi, una sera, le hanno chiesto di seguirla in un campo.
Info: Missagliadevellis.com
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